Martedì, 20 Gennaio 2015 13:30

Storia del Santuario del Belvedere

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Riportiamo la storia del santuario scritta da due arcipreti di Oppido: don Rocco Martino e don Antonio Grimaldi

CENNI STORICI

dell’Arciprete Don Rocco Martino

Al sud-est di Oppido di Basilicata, ora di Palmira, ed alla distanza di circa tre chilometri, irto si eleva il monte di Belvedere, che ti pare distaccato al sud-ovest dell’Appennino Lucano. Esso si asside maestoso su di un lembo di vasta pianura, la quale, attraversando per lo storico castello di Monteserico, si perde fra i campi di Puglia, fino a toccare e sorpassare all’oriente il lato estremo dell’appulo Appennino. Una giovane verdeggiante selvetta gli copre in parte le spalle, ed un fiumicello, detto Alveo, serpeggiando d’intorno, gli lambe con le sue onde i piedi. Dalla sua vetta sublime, vastissimo orizzonte ti si para dinanzi, e, gittando di là attorno lo sguardo, si veggono, e quasi gli fanno corona, varie città e paesi, cioè a dire: Tolve, San Chirico Nuovo, Grassano, Montepeloso, ora Irsina, Genzano, Acerenza, Pietragalla e Palmira, nonché Gravina ed Altamura della provincia di Bari.

   Ed è là appunto su quella vetta del monte, che il pellegrino scorge di lontano un rinomato, vetusto tempietto dedicato alla Santissima Vergine di Belvedere, e con ansia sospirosa ne affretta il passo per arrivarvi. Ed ivi giunto, ecco che gli si para dinanzi la prospettiva della Chiesa, sormontata in su l’arco della Porta dallo stemma Municipale. Pochi altri passi sul piazzale che gli sta dinanzi, eccolo sull’ingresso della Chiesa, e di là gittando lo sguardo, gli si presenta dinanzi agli occhi, all’estremo della navata, un alto maestoso altare, circondato da angeli, ed alla cui sommità, fissa dentro la nicchia, avente un vezzoso Bambinello sulle braccia, si ammira la prodigiosa immagine di Maria Vergine, opera d’arte del 1508. Maestosa ha la fronte; vermiglie le guance; rosee le labbra; capigliatura bionda, ciglia inclinate ed occhi vivi e penetranti; e in così dolce movenza, da arrivare di botto nella mente e nel cuore di chi l’ammira, ed aprirli alla speranza. Poco al di là, poi, dello spianato dell’altare, ed a destra di chi guarda fuori il piazzale della Chiesetta, si vede…oh vista! o luogo che risveglia nella mente gesta di strepitose meraviglie operate dalla Vergine e degne di essere tramandate ai posteri!...si vede chiuso un armadio colorato a marmo, in cui gelosamente si conserva un’anfora, antica, e dalla quale un tempo zampillava un olio, nomato per antonomasia “le grazie di Maria”. Si sa per tradizione che aveva forza miracolosa, e pareva messo da Dio nelle mani della sua diletta Madre per guarire tanti corpi e tante umane membra affette da piaghe insanabili e cancerose. Ed era tanta la copia di quel liquore celeste, che al par di sorgente viva non si esauriva mai, quantunque si ungessero la fronte migliaia di pellegrini e dentro ampolle e fiaschettini di cretaglia se ne portassero purtroppo nei propri paesi.

   E sì pia tradizione, mantenuta fin da remoti secoli inalterata dal popolo, trova riscontro e conferma nella vetusta secolare figura di Santa Maria di Belvedere. Ivi è dipinto in cotta e stola un sacerdote assiepato da torme innumerevoli di devoti di ogni età, sesso e condizione, i quali, ansiosi e genuflessi ai suoi piedi, gli adergono il capo, perché gli unga la fronte, e la cosparga in forma di croce di quell’olio di salute. E che? Il distico impresso in quella medesima monumentale figura, assumendo un carattere tutto storico, non ne narra l’esistenza, l’inesauribilità, gli effetti di quell’olio portentoso? Ah sì che sì! Esso a chiare note nelle seguenti precise parole così si esprime:

   Fundit inex-haustum fons non terrenus Olium.

   Quo morbos omnes Virgo Maria fugat.

   Ed oh! Oppido di Basilicata, quanto avventuroso un dì tu fosti possedendo nel tuo seno il prodigioso olio di Maria Santissima di Belvedere! E quale dei paesi lontani e circostanti non invidiava allora la tua bella sorte? Ma ohimè! Tu con gli affiliati di Satana e Mammona la deturpasti; ed usando di quell’olio per conseguire fini empi e perversi, la sorgente delle grazie in sullo istante inaridì, e la diletta patria mia per l’umana nequizia perdè il tesoro e la gloria più bella che possa avere un popolo! Invano tu allora ti desti a penitenza; invano il tuo clero volse calde suppliche al Romano Pontefice, perché proclamasse la Madonna di Belvedere, sotto il titolo della “Purità”, Padrona del paese, sperando che, onorata con maggior culto, Maria ridonasse il prodigioso farmaco (1); ma la sorgente delle grazie sparì, e tu, o Patria mia diletta, ne restasti, e ne sei ancora, contristata e dolente!

   Se non che…ah! l’ammiranda, l’ineffabile carità di Maria di Belvedere! Ella, la pietosa Madre, malgrado avesse spento, perché profanato, il glorioso segno dei suoi portenti, pure non desistè mai di far sperimentare i preziosi effetti del significato con la mistica e sempre viva sorgente delle sue grazie e dei suoi prodigi a chi speranzoso e fidente si volgesse a Lei. Uno sguardo sull’interne mura della sacra edicola, e si vedranno tempestate per ogni dove da offerte votive, che manifestano a chiaro meriggio gli innumerevoli prodigi operati in ogni tempo da quella madre di pietà. Quelle bare mortuarie poste l’una sull’altra; quei quadri rappresentanti infermità disperate, agonizzanti, naufraganti fra le onde di rapidi fiumi, gente percossa da fulmini e tempeste e fatti salvi all’invocazione di Maria di Belvedere! E il vario ed indeterminato numero di certi voti penzolanti da quelle mura, e simboleggianti quale il capo, quale il busto, quale le gambe, quale le braccia, quale la mano e quale…nonché le catenelle di orologio. E le filanelle d’oro, le fioccaglie, che ben ordinate di fila in fila investivano dall’alto in basso tutto il vano dell’altare (2), non sono forse essi gloriosi trofei parlanti delle grazie della Madonna di Belvedere, e prodigate a larga mano all’afflitta e desolata umanità? E sì che Maria sul monte di Belvedere mostrossi sempre per i miseri figli di Adamo la Madre di bell’amore: “Mater Pulchrae dilectionis”, l’amore di Maria rende bello coll’armonizzare nell’umanità del suo tenerissimo affetto la varietà dei benefici che comparte. Ed è pur Maria là sul monte di Belvedere quell’arbore ammirato da Plinio nell’orto di Tullio; che forma da solo quella deliziosa villetta, quell’amenissimo giardino, “Urtus conclusus”, in cui le anime affrante dalle lotte perigliose della vita, cercano e trovano in Lei spirituale sollazzo e conforto. Spirituale sollazzo e conforto vi trovano in contemplare la sua corona intrecciata di stelle che è simbolo delle sue virtù; spirituale sollazzo vi trovano in contemplare la sua corona che, dipinta a color dell’iride, è simbolo della carità; spirituale conforto trovano nel suo seggio, che, elevandosi sulle ali dei Serafini, è simbolo della Santità. E come quell’arbore che, intrecciato da vari innesti, faceva penzolare dai suoi rami ogni sorta di frutti, così Maria, arbore mistico, piantata sul monte di Belvedere, diffonde da ogni dove i frutti dei suoi portenti, ridonando al cieco la vista, la parola al muto, la guarigione ai feriti, il vigore al debole, il movimento al paralitico, al morente la vita!

   Ed è così che, arcanamente attratti da sì celestiali favori di Maria Santissima, nel dì dell’Ascensione di Gesù Cristo, in cui si commemora la festa di Santa Maria di Belvedere, con slancio di fede accorrono a Lei da Ruoti, Avigliano, Potenza, Pietragalla, Tolve, San Chirico Nuovo, Vaglio, Cancellara, Acerenza, Forenza, Genzano, Palazzo, Minervino, ed altri non meno lontani paesi. E’ bello vedere a torme tanti pellegrini che, ansanti, salendo la ripida pendice del monte, fanno echeggiare l’aria circostante del canto del Rosario ed altre Mariane canzoni. E’ commovente il vederli prostrati alla porta del tempio, e poi carponi per terra, con la lingua spesso gocciolante di sangue, solcare per intero il pavimento della Chiesa. Ed il vederli poi genuflessi a piè del sacro altare e con grida e sospiri, con pianto ed infocate giaculatorie rendere alla Madonna di Belvedere le più vive azioni di grazie, per gli ottenuti celestiali favori, qual altra scena commovente non è per il cristiano? Oh! Sì, tutto è bello lassù sul monte di Belvedere! Ma tutto il bello di quel monte risplende là per Maria, giacchè avendo Iddio, al dir di San Bernardo, creato il mondo per Maria: “Per Mariam totus mondus factus est”, tutto il bello che emerge dall’ordine e dall’armonia del creato, egli, l’Eterno, l’accentrava in Maria, e ne formava così l’archetipo splendido di ogni rara, indefinita, sublime e divina beltà. Ed in vero dimmi:

   Monte di Belvedere! E qual bello ormai

Lo stanco pellegrino in te rimira,

Forse perché sul pian sublime stai

E l’Alveotto intorno a te s’aggira?

   No, mi risponde, no. Ma che? Non sai

Che ovunque v’è Maria là pur s’ammira

Più fulgidi spiccar la grazia i rai

Dei morbi trafugando il brutto e l’ira?

   Ell’è che sana a madre l’egro figlio,

E sotto la magia del suo bel viso

Lo zoppo acquistar il salto, e l’orbo il ciglio.

   Ah sì! Non è a ridir. E’ il tuo sorriso

O Vergine di amore, e di consiglio

Che il bel riflette là del Paradiso.

IIa Parte

BREVI CENNI DEI PRINCIPALI FATTI DEL SANTUARIO DAL 1918 AL 1962

dell’Arciprete Don Antonio Grimaldi

1) Nel 1919, dopo la guerra del 1915-1918, al Santuario avvennero tre avvenimenti che ebbero anche la loro ripercussione sui ben noti fatti degli immediati anni susseguiti. Essi furono: la rimozione momentanea dell’antica statua della Madonna del 1508 dalla sua nicchia per farne le prime fotografie; la nuova pavimentazione in mattonelle di cemento, sovrapposta a quella del 1700, in mattoni con sistema a spina; la vendita autorizzata dell’oro per poter restaurare il cadente Santuario. L’opera del restauro non potè essere realizzata dall’Arciprete Don Antonio Locantore (di Montescaglioso). Egli pertanto mise sopra un titolo fruttifero dello Stato, intestato alla Parrocchia, il ricavato della vendita dell’oro di L. 30.000, (trentamila lire), somma rilevante a quel tempo, e lo depositò presso la Curia Arcivescovile di Acerenza, dove è ancora oggi, proprietà della nostra Parrocchia (vedi Archivio Parrocchiale).

   2) Incoronazione. Il giorno 11 Giugno 1939, per concessione del Capitolo Basilicale di San Pietro in Roma, su richiesta dell’Arciprete Monsignore Donato Pafundi (di Pietragalla), si svolse il rito solenne dell’incoronazione Canonica della nostra Madonna, sotto il titolo della “Purità”. La sera del 10 Giugno 1939, l’antica statua del 1508 di Santa Maria di Belvedere, liberata da una goffa veste che le toglieva la sua bellezza di legno lavorato, per la prima volta, e fino ad oggi l’unica volta, con una grande fiaccolata e con immensa gioia di tutta la popolazione fu portata dal Sacro Monte alla Chiesa Madre, dove ci fu la veglia notturna, predicata dal Vescovo di Potenza. La mattina dell’11 Giugno 1939, in Piazza Guglielmo Marconi, il nostro Arcivescovo Monsignore Anselmo Pecci O. S. B., attorniato dal Vescovo di Potenza e da quello di Melfi, dai due sacerdoti del posto (al tempo della petizione di Don Pietro Caronna per il titolo della Purità i sacerdoti erano 36!), da Canonici della Cattedrale e da sacerdoti dell’Arcidiocesi, procedette al sacro rito dell’Incoronazione in nome di Santissimo Pio XII, popolo oppiano e pellegrini osannanti. L’oro per coniare le due belle corone parte fu preso dal tesoro del Santuario, parte fu donato dai fedeli di Oppido e parte fu raccolto dall’allora sacerdote Don Antonio Grimaldi tra i numerosi devoti del contado di Avigliano. Il topazio che arricchisce la corona grande della Madonna e quello della corona piccola del Bambino furono donati rispettivamente il primo da Sua Eccellenza Monsignore Anselmo Pecci O. S. B. e il secondo dall’Arciprete Monsignore Donato Pafundi.

   3) Peregrinatio Mariae. Le conseguenze della nostra disfatta nella seconda guerra mondiale 1940-1945 furono così gravi da temere imminente il crollo delle libertà sociali con il trionfo del comunismo ateo e sovversivo dei valori morali. Il popolo Italiano in così estrema necessità, come per il passato, guidato dai suoi Vescovi, si rivolse con fiducia alla protezione materna della Madonna, chiamata la “Castellana d’Italia”. In quella critica e pericolosa circostanza, dai vari Santuari d’Italia scesero i quadri e le statue della Vergine, e furono portati per i singoli paesi a rincorare gli animi, a richiamare i peccatori, a benedire amorevolmente tutti, vicini e lontani. Il nostro Arcivescovo Monsignore Vincenzo Cavalla ci fece l’onore di scegliere per la “Peregrinatio Mariae” nell’Arcidiocesi alta la statua della nostra Madonna, quella che si porta nella Chiesa Madre il Martedì di Pasqua. Un comitato, presieduto dall’Arciprete Don Antonio Grimaldi e al quale vi parteciparono anche alcuni sacerdoti dell’Arcidiocesi di Matera, allora unita ad Acerenza, accompagnò sempre la statua, che toccò i seguenti paesi: Oppido Lucano, Acerenza, Cancellara, Vaglio, San Chirico Nuovo, Tolve, Tricarico, Calle, Irsina, Genzano, Banzi, Palazzo San Gervasio, Forenza, San Giorgio, Pietragalla. La statua si fermò due giorni per paese, dovunque ricevuta con commossa pietà. La “Peregrinatio Mariae” iniziata il 22 Maggio 1949 si chiuse felicemente in Piazza Marconi la prima Domenica di Ottobre dello stesso anno. Alle varie manifestazioni religiose della “Peregrinatio Mariae” intervennero gli Eccellentissimi Vescovi: Monsignore Donato Pafundi, Vescovo di Ascoli Satriano e Cerignola, il quale celebrò un solenne pontificale all’aperto, il Vescovo di Tricarico Monsignore Delle Nocche, il Vescovo di Potenza Monsignore Bertazzoni, il Vescovo di Melfi Monsignore Petroni e il nostro amato Arcivescovo Monsignore Vincenzo Cavalla, sempre presente con il suo zelo pastorale e la sua edificante devozione verso la Madonna. Nell’archivio parrocchiale vi sono i documenti di tanto memorabile avvenimento.

4) Ospizio del pellegrino. Il desiderio, sempre coltivato dai fedeli, di avere sul monte di Belvedere un locale per i pellegrini, cominciò ad ottenere la sua attuazione quando il 28 Maggio 1948 fu posta la prima pietra dell’erigendo edificio alla presenza di Sua Eccellenza l’Arcivescovo Monsignore Vincenzo Cavalla e del Vicario Generale Monsignore Donato Orlando. Il fabbricato solido, tutto in pietra viva e in aprica posizione, fu completato soltanto nel 1956. Ci fu questo ritardo perché l’Arciprete Don Antonio Grimaldi non volle assolutamente che si toccasse l’oro della Madonna, già impoverito, ma aspettò ben 8 anni per la raccolta dei mezzi necessari alla costruzione. Essi furono dati esclusivamente dal popolo di Oppido Lucano, dai nostri emigrati in Santiago del Cile, Iquique, San Paolo del Brasile, New York, e dallo stesso Arciprete. L’opera, quindi, dalle fondamenta fu fatta dalla nostra generazione, la quale pertanto, dopo secoli, lascia qualche cosa da custodire ai futuri nipoti.

   5) I restauri al Santuario. I restauri al Santuario cominciarono dopo quelli eseguiti alla Chiesa Madre. Nella preparazione e nello svolgimento della complessa e non facile pratica - chi vuol saperne di più può leggere il voluminoso carteggio conservato nell’archivio parrocchiale - l’Arciprete Don Antonio Grimaldi fu aiutato dai nostri due Arcivescovi Monsignore Vincenzo Cavalla e Monsignore Domenico Picchinenna, dagli alti funzionari del Provveditorato alle OO. PP. per la Basilicata e del Genio Civile di Potenza e in particolare dal Ministro di Stato Sua Eccellenza Emilio Colombo, illustrissimo figlio della Lucania. A tutti questi il paese deve serbare grata memoria. I fedeli di oggi sanno in quale miserando stato era il Santuario prima dei restauri. La volta della Chiesa, fatta nell’800 senza seguire lo stile originario, pesante e infracidita perché mancante di solaio, il campanile sconnesso e diruto, il cortile con la cisterna rovinato, impraticabile, con selciato di pietre non lavorate e appuntite, mancanti nella maggior parte, i locali del pianterreno senza pavimenti e con gli archi cadenti, la scalinata stretta e pericolosa, le stanze di sopra anch’esse senza pavimenti, senza intonaci, comunicanti tra di loro, difettose d’infissi, con soffitti aperti, dai quali scorreva a rivoli l’acqua piovana. Una vera rovina. Ora i fabbricati del Santuario, in ogni loro parte, sono stati saldamente rifatti, e danno decente alloggio ai sacerdoti della Parrocchia e ai custodi di esso. La navata della Chiesa è stata ricostruita, secondo le direttive ricevute dalle autorità, con capriate di legno, meno pesanti e meno fredde del grigio cemento. Di antico è rimasta, protetta e rafforzata con due ampie capriate, la parte più essenziale e storica, quella del primo ventennio del 500, cioè: la sagrestia e la cella sull’altare, fatto nel 1912 dai nostri emigrati di Niagara Falls, dove vi è l’antica effigie della Vergine. I lavori furono eseguiti dall’Arciprete Don Antonio Grimaldi in concessione diretta, ed egli si servì della sola maestranza paesana, che, nel breve giro di due anni, compì felicemente l’opera. Il 10 Aprile 1960, Domenica delle Palme, il nostro Arcivescovo Sua Eccellenza Monsignore Domenico Picchinenna, con solenne rito e col concorso di tutto il popolo, riaprì al culto il Santuario. Agli studiosi di archeologia si ricorda che lungo il lato destro della Chiesa, per chi vi entra dalla porta principale, a regolare distanza di circa m. 1,50 dal detto muro e per tutta la lunghezza della Chiesa, sotto il pavimento, vi sono varie fogge simmetriche romane.

   6) Rendite del Santuario. L’Arciprete Don Antonio Grimaldi, per non venir meno al suo dovere e per l’avvenire del Santuario, provocò e sostenne presso la Santa Congregazione del Concilio, per molti anni, una complessa e difficile vertenza circa l’assegnazione delle rendite, contro l’Ufficio Amministrativo Diocesano di Matera e contro la parrocchia di Metaponto. La decisione è stata favorevole al Santuario, che, dopo 112 anni, vede ritornare a sé parte dei terreni della Badia Concistoriale di Santa Maria del Belvedere. I nominati terreni, con decreto della Commissione Esecutrice del Concordato tra la Santa Sede e il Regno dei Borboni del 1818, passarono, il 14 Febbraio 1849, alla parrocchia di Torre di Mare (ora Metaponto), e furono registrati in catasto con la dizione compendiaria di “Badia di Torre di Mare”. La decisione però, pur favorevole al Santuario, può essere migliorata. Il clero di Oppido Lucano, in tempo opportuno, potrà riprendere la vertenza, e gli sarà di grande aiuto il voluminoso documentario depositato nell’archivio parrocchiale, che va dal 1700 al 1962.

   7) Conclusione. Chi scrive ha pensato, nel tramandare questi principali avvenimenti del Santuario, riguardanti i primi sessant’anni del secolo, di fare cosa grata ai devoti di Maria Santissima di Belvedere, e di lasciare traccia, per ciò che riguarda la Chiesa, a chi, di buona volontà, volesse completare la storia di Oppido Lucano del nostro concittadino Francesco Giannone. Desidera infine assicurare ai suoi fedeli di averli ricordati alla Madonna, e li prega, per il tanto lavoro da lui compiuto, con pazienza e costanza, spesso non senza preoccupazioni e dispiaceri, di recitargli, ai piedi della cara Madonna di Santa Maria di Belvedere, con tutta la loro devozione, una gradita e sempre aspettata “AVE MARIA”.    

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