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Martedì, 20 Gennaio 2015 13:04

L'icona della Pentecoste

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Analisi e messaggio dell'icona

L’icona

Di primo acchito si ha l’impressione che la raffigurazione stia ad illustrare semplicemente un evento storico, alla sequela fedele del racconto degli Atti degli Apostoli. Ad una analisi di essa, tuttavia, si rivelano tanti particolari che hanno fatto scrivere al teologo Pavel Evdokimov: «Essa non è una illustrazione del testo degli Atti, ma confronta tutti i testi delle Scritture, segue la liturgia e traccia un’immensa prospettiva che sorpassa un frammento di storia per esprimere la “parola interiore” degli avvenimenti. L’icona mostra il Collegio dei dodici apostoli, il pleroma misterioso che sostituisce le dodici tribù d’Israele; è l’uno della Chiesa che attende di “essere rivestito di potenza dall’alto’’, per presentare “la pienezza di Colui che riempie tutto in tutti”».

La tribuna e le lingue di fuoco

Due case, simili a torri, riempiono gli spazi laterali sino al limitare superiore della raffigurazione. In tal modo si vuole significare che la scena si svolge nella «camera alta» di Sion, quella dell’ultima Cena, che divenne, dopo la Resurrezione, il luogo dove si radunavano gli apostoli e i discepoli per pregare.

E’ aperta solo in alto, dalla parte cioè da dove provengono le lingue di fuoco rappresentate nel semicerchio del cielo da cui si dipartono tanti raggi di cui uno centrale tripartito.

I Dodici siedono su una panca a forma di ferro di cavallo che non rappresenta un synthronon (trono comune), che si trova nelle absidi delle chiese antiche, dove prendevano posto i celebranti, bensì una trasposizione di una usanza liturgica siriaca: il cosiddetto «bema siriaco».

Nella tradizione architettonica delle chiese sire e caldee, infatti, vi è un elemento di cui oggi è sopravvissuto solo qualche pallido ricordo: I’ambone o bema al centro della chiesa.

Si tratta di una tribuna a ferro di cavallo posta al centro della chiesa a fronte dell’abside e del santuario in cui si trova l’altare. Su di esso si svolgeva la Liturgia della Parola e vi prendevano posto i celebranti.

Gli Apostoli dal momento in cui ricevettero lo Spirito annunciarono la Parola, I’evangelizzazione, che prese il via dal loro stare insieme come in un consesso, un sinodo perciò le icone che raffigurano i Concilii Ecumenici riproducono lo stesso schema iconografico di questa festa.

Il vecchio re

Al centro del ferro di cavallo, quasi in una grotta scura, vi è un vecchio vestito da re con un lenzuolo bianco tra le mani”.

Egli ha un nome: «Ho Cosmos» (il Mondo).

Questa figura pare abbia preso piede dal secolo x, là dove in precedenza - e in qualche filone successivo - vi è una moltitudine di gente, di popoli di diverse lingue e nazionalità come vien detto negli Atti degli Apostoli”.

Il vecchio re è, quindi, un’immagine simbolica che impersona l’insieme dei popoli e delle nazioni che trovavano nel Basileus (imperatore) bizantino la loro rappresentanza.

Al di là, tuttavia, di questo significato, frutto di evoluzione concettuale in senso storico-politico, a nostro avviso, la figura diviene molto chiara e comprensibile se la si inquadra appunto nel significato simbolico che ha il bema nella tradizione siriaca: il vecchio è posto nel corridoio delle due tribune «ad immagine del Cenacolo di Sion», come dice un inno siriaco sulla Cattedrale di Edessa, composto nel V secolo.

La navata della chiesa, al cui centro è posto il bema, è, dunque, Gerusalemme, il mondo, la terra intera. A questo concetto vi è da aggiungere un particolare: il vecchio è raffigurato come si è soliti dipingere il re David, egli starebbe a rappresentare i «molti profeti e giusti che hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l’udirono», come il Signore stesso disse.

In alcune rappresentazioni, il vecchio re è dietro le sbarre: «dalla caduta ad oggi, I’universo è prigioniero del Principe di questo mondo», così lo spiega Evdokimov, «L’oscurità che lo circonda figura “le tenebre e l’ombra di morte”: è l’inferno universalizzato, dal quale il mondo non battezzato si distacca e, nella sua parte più illuminata, aspira anche alla luce apostolica del Vangelo. (...) Il contrasto dei due mondi coesistenti è tra i più significativi: in alto è già la “nuova terra”, visione del Cosmo ideale infiammato dal fuoco divino e al quale aspira il vecchio re; in basso, le energie dello Spirito Santo entrano in azione in vista della liberazione e della metamorfosi del cosmo prigioniero».

I Dodici

I Dodici sono disposti sulle due ali del semicerchio, lasciando un posto vuoto tra i due gruppi. E il trono vuoto della Seconda Venuta (Hetimasìa), il segno dell’attesa continua dello Sposo.

Il mistero della Pentecoste, infatti, non è un’incarnazione dello Spirito, ma l’effusione di doni, che comunicano la grazia increata a ciascuna persona umana, a ciascun membro del corpo di Cristo.

L’unità che si realizza nella comunione eucaristica è «per eccellenza un dono dello Spirito».

La nostra icona, rappresentante del filone iconografico tradizionale, va, quindi al di là della rappresentazione storica dell’evento; essa presenta misticamente la Chiesa che nasce composta dagli Apostoli e dai settanta: «una visione dal di dentro e come al di là del racconto immediato degli Atti»’Se, infatti, ci soffermiamo ad analizzare le figure degli Apostoli, notiamo che cinque hanno nelle mani un libro, mentre gli altri sette un rotolo. Non si tratta di un particolare insignificante: il rotolo simboleggia la predicazione, il libro invece la «materia» prima della predicazione. In base a tale distinzione, quindi, è possibile affermare che l’icona non rappresenta solo i Dodici Apostoli, perché non sono «solo» i Dodici. Perché ciò sia più chiaro esaminiamo i personaggi posti nell’emieiclo sinistro.

Al centro, subito dopo il «posto vuoto» è riconoscibile Pietro e accanto a lui Matteo e Marco, i due evangelisti, rappresentati con il libro. A capo delI’emiciclo destro, invece, è immediatamente riconoscibile Paolo, accanto a lui, sbarbato, Giovanni e quindi Luca. Tutti e tre hanno tra le mani il libro.

Pietro e Paolo costituiscono i «Principi degli Apostoli». Paolo è il «vaso di elezione», «divenuto ministro» della promessa per mezzo del vangelo «per il dono della grazia di Dio» a lui «concessa in virtù dell’efficacia della sua potenza». Le sue Lettere costituiscono assieme ai quattro Evangeli il cardine del Nuovo Testamento. Ecco perché egli ha tra le mani un libro.

La presenza di Paolo, di Marco e di Luca, quindi, fa diventare simbolicamente eloquente la rappresentazione, escludendone un senso storico.

In tale prospettiva vogliamo chiudere questo breve itinerario di contemplazione davanti all’icona della Pentecoste con le parole di Simeone il Nuovo Teologo (917-1O22): «lo ti ringrazio, perché tu, Dio al di sopra di tutte le cose, sei diventato un solo, Spirito con me - senza confusione né cambiamento - e tu sei diventato per me il tutto in tutte le cose: nutrimento ineffabile, gratuitamente donato, perennemente riversato sulle labbra dell’anima mia, traboccante nella fonte del mio cuore; veste risplendente che mi copre e mi protegge, e che distrugge i demoni; purificazione che mi lava da ogni macchia con le sante lacrime immortali che la tua presenza dona a coloro che tu visiti.

«lo ti ringrazio per il tuo essere che mi è stato rivelato come giorno senza tramonto, come sole senza declino. O tu che non hai luogo dove nasconderti perché non rifuggi mai da noi né mai hai respinto alcuno degli esseri; ma noi al contrario sempre da te ci nascondiamo e a te non vogliamo venire».

Ultima modifica il Sabato, 27 Agosto 2016 19:33
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