Martedì, 20 Gennaio 2015 13:02

L'italiano nel tempo

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Conferenza tenuta ad Avigliano il 30 – 11 – 2006 dal prof. Francesco Saverio Lioi

Il dissolvimento politico di Roma non è stato accompagnato da un pari scioglimento della sua cultura e della sua lingua. Il latino e i classici latini sono sempre rimasti la base su cui si sono riconosciuti i popoli europei, hanno sempre costituito il punto da partenza di ogni letteratura europea, costituiscono le radici della civiltà europea. L’adozione del latino come lingua della scrittura e della comunicazione verbale dei dotti e la diffusione del Cristianesimo, che si è servito come lingua ufficiale del latino, hanno garantito una fondamentale unità spirituale della nuova Europa che stava nascendo dalle rovine dell’Impero Romano. Il latino, per un processo naturale, si evolveva nelle lingue nazionali proprie dei paesi e nazionalità, che si costituivano nei territori dell’Impero. La lingua parlata si allontanava inesorabilmente dalla lingua di cultura, che rimaneva sempre il latino in tutti i paesi, i quali conservarono in questo modo una unità culturale e linguistica nelle loro università, negli studi, che nascevano intorno alle chiese. Venne ad operarsi una discrasia tra la lingua della cultura e della scienza e la lingua parlata. Il latino comune a tutti i popoli; la lingua parlata diversa nella diversità che il latino andava assumendo in Francia, in Italia, in Spagna, in Germania. I volgari non furono delle scatole chiuse, ma avevano fra di loro continui interscambi, dovuti alla politica e alla circolazione delle genti.

Questo favorì un intenso interscambio fra le nascenti letterature nazionali, che già dal X secolo cominciano a far capolino nelle opere di carattere popolare, come l’epica cavalleresca o le laudi religiose.

La letteratura italiana in volgare appare attardata rispetto alle altre per effetto dell’uso del latino, anche negli scritti letterari, e per il maggiore radicamento dei dotti nella cultura romana. Non dimentichiamo che il Patrarca si aspettava la gloria letteraria ed il lauro poetico dal poema Africa, scritto in lingua latina, quando già la Commedia di Dante era un classico. L’attardamento fu rapidamente colmato con una produzione di altissimo valore letterario, quali la Commedia di Dante, il Canzoniere del Petrarca ed il Decameron del Boccaccio, opere queste che presentavano novità di forme letterarie, di temi, di linguaggio, che in breve guadagnarono ampia circolazione in ogni angolo d’Europa. Esse furono tradotte ed imitate. E’ stato questo il riscatto dall’attardamento del volgare italiano nei confronti del francese, che era diventato la lingua dei trovadori e dell’epica cavalleresca .

Nei secoli dell’Umanesimo Rinascimento la cultura e la lingua italiana diventano egemoni in Europa. L’italiano diventa la lingua della cultura e dell’arte in Inghilterra, Francia e Germania. La Riforma protestante genera un’ astiosa diffidenza verso la terra del Papa, l’Italia resta però sempre la culla della civiltà classica. In questo periodo nasce il culto dell’Italia come la terra dell’archeologia, dell’arte e della musica. Roma è meta di studio per artisti, archeologi e letterati. Il culto dell’Italia s’ ingrandisce con le strabilianti scoperte archeologiche di Ercolano nel 1709, di Pompei nel 1748, di Tivoli e la sua Villa di Adriano. Roma diventa la meta di tutti gli uomini di cultura europei. L’Italia diventa il Bel Paese sognato e studiato dagli intellettuali europei; l’italiano è la lingua che una persona colta non può ignorare, pur essendo messo in seconda linea dal francese, che diviene una lingua franca.

Nel 1675 Lorenzo Megalotti, ambasciatore di Firenze a Vienna scrive che a corte non era necessario la conoscenza del tedesco, perché “ non c’è chi abbia viso e panni di gentiluomo, che non parli correttamente l’Italiano.” Ai tempi del Metastasio l’italiano era lingua di corte a Vienna e a Dresda e si affermava come lingua per la musica.

Il prestigio dell’italiano non è crollato nei secoli successivi, esso è stato sempre considerato la lingua della cultura e dell’arte. Con l’emigrazione degli italiani nel nuovo continente, si è diffuso nel mondo, tanto che alla fine dell’800 in Argentina si discusse a lungo se adottare l’italiano come lingua ufficiale di quella repubblica. Una rivista di italianistica, Il Veltro, asseriva che furono il disinteresse del governo italiano dell’epoca e le pressioni del governo spagnolo ad indirizzare il parlamento argentino verso il castigliano. Cosa avrebbe comportato l’adozione dell’italiano come lingua nazionale di un grande paese come l’Argentina sia dal punto di vista culturale che economico non è nostro compito dire in questa sede. Certo i vantaggi sarebbero stati enormi e si sarebbe fatta giustizia alla maggioranza della popolazione argentina, che è di origine italiana. L’Italia non ha mai saputo vendere il suo patrimonio linguistico-culturale, perché non ha mai avuto l’orgoglio di essere uno scrigno culturale.

Oggi si parla sempre più inglese per il peso mondiale che hanno gli Stati Uniti, ed infatti dice Ignazio Balzelli, l’egemonia non è dell’inglese, ma dell’angloamericano, che si serve come mezzo di diffusione del linguaggio informatico. Questo però non porta assolutamente al macello tutte le altre lingue: nessuna nazione in Europa è disposta a sostituire la propria lingua con l’inglese, anche se chi possiede una cultura molto superficiale accetta passivamente questa situazione. Nessuna lingua ha la sorte segnata, tanto meno l’italiano. Luigi dell’Aglio in Tuttoscuola n. 341 così scrive nell’inserto La guerra delle lingue “ La nostra lingua ha imboccato una fase di recupero. Lo dimostra una recente ricerca: fuori d’Italia, circa un milione e mezzo di persone stanno studiando l’italiano. Inoltre lo parlano dai dieci ai venti milioni di emigrati, il 20-40% di quei circa cinquanta milioni di italiani e i loro discendenti, sparsi soprattutto tra Nord America ( quindici milioni), Sud America (tredici milioni), Europa ( tre milioni), Australia (due milioni). Dallo Statistical Report of the languages on the world risulta che l’italiano è la quattordicesima lingua del mondo. Ma questa graduatoria è fatta con criteri molto semplici, non mette le lingue in ordine di importanza o di effettiva diffusione nel mondo. Le dispone in base al numero degli utenti che ha ogni lingua madre. E allora la prima lingua del mondo è il cinese mandarino con 770 milioni di parlanti. La seconda l’inglese con 450 milioni. Lo spagnolo è al quarto posto con 285, il portoghese al settimo con 160 milioni. Il tedesco all’undicesimo con 92 milioni. L’italiano al quattordicesimo con 65 milioni. Il francese con 55 milioni viene soltanto al ventunesimo posto.”

Ma chiediamoci: “Perché oltre un milione e mezzo di stranieri nel mondo studiano l’italiano?” I motivi sono vari e validi, ma alla base di tutti vi è la motivazione letteraria. Punto di partenza è la Divina Commedia: nel 900 vi sono state ben 35 traduzione del poema dantesco in inglese. Dante fa in modo che in tutte le Facoltà di lingue di tutte le Università del mondo vi è il dipartimento di italianistica.

Diamo uno sguardo ad un paese lontano da noi nello spazio, ma che si sta rivelando forse il più vicino nei rapporti culturali e commerciali: la Cina.

L’italiano in Cina è insegnato in 3 Istituti universitari di Pechino, in uno di Shangai ed in uno di Nanchino, voluto e finanziato dalla FIAT, ove ha uno stabilimento. “ Perché avete deciso di studiare italiano?” ho chiesto ai miei studenti la prima settimana di lezione, scrive Tiziana Lioi, per due anni docente d’Italiano all’Università di Nanchino. Le risposte hanno dimostrato tanta curiosità ed amore per il nostro paese, e, cosa non trascurabile, motivazioni legate al fattore occupazionale. L’italiano è oggi per gli studenti cinesi terreno in continua espansione.” ( Leukanikà, dicembre 2005).

Oggi l’italiano si afferma sempre più di giorno in giorno nel mondo per i suoi alti valori di cultura: letteratura, arte, storia, archeologia….

Ciononostante in Italia c’ è una piatta accettazione o sciocca esibizione di parole inglesi, i cosiddetti anglismi, e dell’inglese in generale, credendo che ciò sia un aumento della propria cultura e del proprio prestigio. Finché lo fanno privati cittadini, può anche esser sopportato. Ma se sono le istituzioni pubbliche, allora, come ha detto il prof. Nencioni, presidente dell’Accademia della Crusca, si tratta di un becero provincialismo e sudditanza psicologica. Scrive il prof. Nencioni nel periodico La Crusca per Voi, dicembre 2000, “ Parliamo subito della piatta accettazione o sciocca esibizione dell’anglicismo. Un’azienda (si tratta dell’Italgas) che denomina Customer Service il proprio servizio clienti, le varie aziende che dichiarano di perseguire la customer satisfaction, le Università che istituiscono i propri Student Centre e Call Centre, i programmi di Congressi e commissioni di lavoro costellati di coffee break e chairman, un comune (Empoli) che denomina l’ufficio di collegamento Job Centre, l’albergo di Siena che dà la sveglia solo in inglese, il Parlamento(!) che introduce il question time, e via dicendo, sono casi che ci coprono di ridicoli. Che dire di un Museo, (la Galleria Borghese di Roma), che ha istituito addirittura la ticketteria? Questi usi rivelano intanto una forte pigrizia linguistica e mentale, che non va certo incoraggiata; ma ci vedrei anche una certa dose di servilismo, ereditato dai tempi in cui eravamo indotti a blandire lo straniero di turno che dominava in casa nostra.”

Per carità di lingua lasciamo perdere l’insulso OK, due lettere che non dicon nulla, che sostituiscono il nostro sì o va bene, o le insegne dei negozi nei nostri paesi.

Al degrado della lingua italiana contribuiscono non poco i giornali locali e nazionali, riempiti dalla penna di persone spesso dal basso profilo culturale.

Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini. Quello che non ha fatto il popolo italiano in tanti secoli, la sta facendo l’incultura di oggi, tempo di pseudo cultura. L’italiano, infatti, si è mantenuto quasi uguale a quello creato da Dante nella Divina Commedia. Noi possiamo leggerla senza grosse difficoltà ancora oggi. Questo perché fino a un secolo fa è stato usato come lingua scritta e non parlata: gli Italiani hanno sempre scritto nella lingua letteraria ed hanno parlato i loro dialetti o lingue regionali;così si è dato che Isabella Morra, lucana, scrivesse come Veronica Franco, veneziana, nel Cinquecento.

Così fino al secolo XX non c’è stato degrado vero della lingua italiana, almeno quella letteraria. Oggi c’è il rischio, perché è parlato e scritto da quasi sessanta milioni di persone in Italia e da una ventina di milioni di Italiani emigrati, i quali la infarciscono di forestierismi della nazione nella quale si trovano. La globalizzazione, gli scambi culturali, commerciali, le altre lingue ufficiali della comunità europea, fanno continuamente dei prestiti linguistici. La stessa fonetica è sotto la pressione delle cadenze regionali e dei diversi sostrati dialettali in possesso dei parlanti. Alla uniformità linguistico-fonetica della lingua italiana molto contribuisce la lingua della televisione, veicolo insostituibile di educazione linguistica per il popolo.

La lingua non è una macchina logica o un congegno perfetto, ma è sempre in fieri, è un’ istituzione soggetta ai mutamenti della cultura e del costume. Le lingue non sono delle scatole chiuse agli influssi esterni: assorbono quello che loro manca. E’ un problema questo che aveva il latino nei confronti del greco, dal quale ha mutuato termini filosofici, scientifici, tecnici. Lucrezio, il poeta del De Rerum Natura, lamentava la egestas linguae del latino: ha preso dal greco, che ha dato ciò che il latino non aveva, ma non ha snaturato il latino.

Le lingue crescono per apporti esterni, non per sostituzione del proprio lessico con quelli di altre lingue. Oggi esiste un italiano parlato e un italiano scritto, che sotto la pressione del parlato va semplificando le architetture sintattiche. Ma esiste anche un italiano che va di moda, quello infarcito d’ anglismi inutili. E’ indubbio che una lingua non può straniarsi da quella che è la cultura internazionale e, se vi sono anglismi inutili, vi sono anglismi utili, quali quelli scientifici e tecnologici. Questi fanno parte di una cultura nuova e valida della quale non si può fare a meno ed appartiene a tutto il mondo civile. L’inglese oggi collega i centri informatici dei cinque continenti, ha assunto il compito di pragmatico interprete delle relazioni internazionali e di diffusione dell’attività scientifica e tecnologica. Si sente spesso dire che l’inglese soppianterà le altre lingue del mondo; che soppianterà l’italiano. E’ questa una previsione catastrofica, pessimistica, che rasenta l’irrazionalità. Basta un po’ di buon senso per rifiutare una tale eventualità. Può una lingua, parlata da oltre 60 milioni di persone, essere sostituita? Una lingua di alta cultura e di alta letteratura essere rifiutata, quando i suoi parlanti cercano in tutti i modi di richiamare in vita i dialetti? La storia linguistica d’Europa ci dice il contrario. Il latino parlato da tutti i popoli europei si è evoluto in tante lingue dette neolatine, tutte di alta cultura: queste certo non cederanno il passo all’inglese, lingua degna, ma non superiore alle altre europee, le quali, forse, hanno più tradizioni storiche e letterarie.

L’inglese strumentale si può affiancare all’italiano e alle altre lingue europee nei settori internazionalizzati della tecnologia e dell’universale linguaggio informatico.

La lingua italiana è e rimarrà una lingua di alta cultura. Come tale è ricercata dai colti stranieri in Italia e all’estero. Oggi essa è la lingua di ampia socialità, adeguata a tutti i livelli espressivi e comunicativi dell’intera società nazionale, dalla quale è sentita come propria. La lingua italiana è e sarà quello che sono gli italiani. Essa deva avere caratteri interni di salvaguardia della sua identità; caratteri esterni di partecipazione alla cultura internazionale pragmatica, sperimentale e tecnologica. Un isolamento puristico della lingua nazionale oggi è improponibile. Tutte le lingue prendono e danno; così è anche per l’italiano. Se noi parliamo di forestierismi nell’italiano (francesismi, spagnolismi, anglismi), anche nelle altre lingue si parla di italianismi. L’evoluzione di una lingua dipende anche dalle vicende storiche che hanno determinato il percorso di un popolo.

L’italiano ha arabismi, bizantinismi, gallicismi, spagnolismi, perché l’Italia è stata in relazione con i popoli che parlano tali lingue. I popoli che sono venuti da dominatori ( Francesi e Spagnoli) non hanno imposto la loro lingua. Non lo farà oggi l’anglo-americano che ha solo una supremazia economica, ma non mai culturale. L’America può rapinare le opere d’arte con la forza del denaro, ma non la lingua e la cultura di un popolo che ha oltre 3000 anni di storia in più. Si dà il caso che le stesse università d’America sono assetate d’italiano. Il prof. Balzelli, ordinario di Storia della lingua italiana alla Sapienza di Roma ha scritto: I ricercatori, le istituzioni culturali, i discendenti dei nostri emigrati hanno crescente interesse per l’italiano. Per questo la domanda dell’italiano si espande. Grande merito all’espansione dell’italiano all’estero va agli Istituti italiani di Cultura all’Estero, che trovano la loro origine in un provvedimento legislativo del 19 dicembre del 1926. I Giapponesi chiamano quello di Tokyo il Santuario della Cultura italiana.

Chiudiamo questo nostro breve intervento accennando a ciò che ha rappresentato e rappresenta tuttora l’Italia per due grandi popoli europei: per gli Inglesi e per i Tedeschi.

L’immaginario collettivo anglosassone attribuisce all’Italia, in quanto luogo emblematico della cultura, dell’arte e della poesia un alto potere di fascinazione. Per questo l’Italia nella letteratura anglosassone diviene tema popolarissimo fin dal Rinascimento. Si pensi a quanti drammi di Shakespeare sono ambientati in Italia, ma anche ai numerosi viaggiatori inglesi dei secoli passati che hanno lasciato le loro descrizioni del viaggio in Italia.

Grande fortuna ha sempre avuto la cultura italiana nei paesi di lingua tedesca. Si calcola che le traduzioni in tedesco dall’italiano di testi letterari siano oltre dieci mila. L’Italia interessa e attrae per la sua letteratura sia antica, che coeva, oltre ad essere stata meta preferita di viaggi; è stata trasformata nei secoli in una sorta di luogo topico dell’immaginario tedesco.

Ultima modifica il Sabato, 27 Agosto 2016 19:55
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