Mercoledì, 25 Marzo 2020 09:16

Kekaritomene. Dio e la fede in una parola

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Dove c'è il pericolo cresce anche ciò che salva, scriveva Hölderlin. La parola si rivolge a chi si ama, anche se spesso dobbiamo gridare per farci sentire. Sarebbe veramente un guaio se nessuno ci rivolgesse la parola. Dio parla. Non siamo soli, abbandonati. E oggi 25 marzo 2020 è la festa dell'Annunciazione, della piena di grazia.

C’è una parola che oggi più che mai richiama la nostra attenzione. Nel racconto dell’annunciazione l’angelo Gabriele si presenta a Maria con un termine che noi traduciamo “piena di grazia” e lo ripetiamo poi ogni qualvolta preghiamo l’ave maria, anche in tempo di pandemia.

Fiumi di inchiostro sono stati versati per comprendere il senso di quella parola: kekaritomene.

In realtà le dimensioni evocate sono tante e come sempre ogni traduzione ne evidenzia solo alcune. Il termine è di una ricchezza che lo rende a parer mio intraducibile.

Provo a fornire delle indicazioni per coglierne la profondità e la bellezza.

chiesa dell annunziata
Anzitutto il verbo: karitoo. In greco significa ornare, abbellire, rendere grazioso. Per capirci: è quanto si compie prima di uscire di casa. Immaginate l’azione di una mamma che prepara il proprio figlio per il primo giorno di asilo: lo prepara perché si deve sentire a suo agio quando sarà lontano da casa, deve sapere di essere grazioso e portare nel suo corpo i segni di una premura che pur se assente nel tempo della scuola è comunque attiva e operante.

Poi il tempo. I grecisti amano parlare di “aspetto”. Bene, il nostro verbo è al perfetto. Ora, bisogna sapere che in greco quando un’azione comincia nel passato e finisce nel passato si usa l’aoristo. Quando si parla della morte e sepoltura di Gesù i testi usano sempre l’aoristo: morì, fu sepolto. Quando invece un’azione comincia nel passato e continua ancora nel presente, allora si usa il perfetto. Per la risurrezione di Gesù si usa sempre la forma perfetta “egegertai”: è stato risuscitato. A significare che Gesù in un tempo passato “è stato rimesso in piedi”, è ritornato a vivere e continua a vivere. Gesù ora è nello stato di vivente, di Risorto.

Quindi il nostro verbo dice di un’azione che è cominciata nel passato e che non è finita: c’è qualcuno che ha reso bello, ha equipaggiato per il viaggio della vita e continua nella sua azione, non smette di prendersi cura.

C’è ancora un altro aspetto da tener presente. La forma medio-passiva. Che dice sia la dimensione dell’essere destinatario di un’azione fatta da un altro (passivo) sia dell’utilità, dell’effetto benefico di quanto si fa, del vantaggio (medio).

Se volessimo provare quindi a tradurre la nostra parola dobbiamo per forma arrenderci di fronte alla ricchezza di dimensioni evocate.

Il soggetto indubbiamente è il Creatore. Destinataria è una giovane fanciulla, Maria.

L’angelo si rivolge a Maria specificando di conoscerla in profondità perché “sa” chi ha operato e cosa ha combinato. E’ come se volesse dire: vedi che io so bene chi tu sei! Conosco la tua identità più profonda! E cosa ha davanti agli occhi l’angelo? una creatura, che in quanto tale è meravigliosa.

L’azione di Dio è qualificata come l’azione di una mamma, tutta intenta a far sentire il proprio figlio amato e capace di forza anche nella lontananza; e con i segni che dicono non di un abbandono ma che tengono viva la nostalgia del ritorno e il desiderio dell’abbraccio.

Quell’azione di prendersi cura, di creare la bellezza non è chiusa nel passato, non è fatta una sola volta ma perdura ancora nel presente. Infatti sappiamo che l’amore, la consapevolezza di sapere di essere guardati bene e desiderati senza alcuna motivazione ha come unico tempo il presente esplicandosi in modalità diverse.

Il vantaggio dell’azione non è in capo al protagonista, ma al destinatario. Come una mamma si prende cura del figlio perché possa vivere nella libertà e senza paure, così Dio opera perché il vivente possa essere capace di vivere da protagonista i suoi giorni senza svendere la sua libertà.

A parer mio l’angelo sta presentando Dio, il suo committente, a Maria. E dice di Dio quanto noi a volte facciamo fatica a comprendere soprattutto quando le cose vanno male o la natura si ribella o un virus mette a nudo la nostra umanità: Dio è bellezza infinita e dalle sue mani non può uscire il male. La fede che l’angelo chiede a Maria è un dinamismo che parte dalla consapevolezza di essere stati fatti bene e per il bene, dal coraggio di credere in una invisibile fedele Presenza che salva e dalla forza di lottare contro tutto ciò che allontana dal pieno godimento della bellezza di vivere. Chissà quante volte la Madonna è andata in crisi nella sua esistenza ripensando a quella parola dell’angelo e alla fatica di coniugarla nella quatidianità fatta di sconfitte e delusioni e di …croce. Chissà cosa ha pensato la madonna sotto la croce… Ha creduto. Ha creduto in colui che tramite la morte del Figlio dice che l’umanità è bella, merita la vita: l’amore, se è vero, ama l’amato anche quando non è amabile.

In fondo il credente è colui che dice di essere di Dio, di appartenere a chi solo può salvarlo. L’amore ci insegna che abbiamo bisogno di un altro per andare avanti. Chi lo trova, trova la vita!

La fede è lasciarsi incontrare da Dio, perché l’umanità è il tutto di Dio, la vita!

Mi piace pensare che l’angelo da sempre parli a ognuno e  aImmagine tutta l’umanità: kekaritomene!

Mi piace pensare che i cristiani vivano di questa parola e trovino nella passione di Dio per ogni singolo vivente la forza per far compagnia a Dio lottando per la vita, che è bella: divina!

Ultima modifica il Mercoledì, 25 Marzo 2020 10:42
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