Lunedì, 19 Gennaio 2015 22:30

Aiutiamo il buon Dio ad abitare il nostro tempo!

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Lettera alla comunità all'inizio dell'anno pastorale 2014-2015

Carissimi amici,

il fluire  del tempo ci pone tutti nella condizione di riscoprirci viandanti. E’ una strana sensazione la nostra. Quella di chi assapora la bellezza dell’alternarsi delle stagioni  e contemporaneamente vorrebbe soffermarsi per afferrare il tempo. Ci scopriamo così felici di vivere momenti che sono indimenticabili e irripetibili e impotenti di fronte al desiderio di soffermarci per poter gustare con tranquillità la bellezza di certi stati d’animo.

Il tempo si dispiega e ci piega a riflettere sull’essenziale. Non sempre ci riesce veramente: la superficialità che pur fa parte del nostro armamentario e il frastuono assordante degli eventi a volte ci impediscono di rientrare in noi stessi e abitare il silenzio.  Ma tutti, prima o poi, troviamo la forza e il coraggio di lasciarci avvolgere dal desiderio di capire il vero senso di quanto avviene intorno e dentro di noi.

Nel tempo diventiamo autentici solo nella misura in cui ci riscopriamo responsabili in prima persona della nostra felicità e dei colori delle pareti della tenda che avvolge le nostre giornate. Siamo chiamati a vivere da protagonisti, non da comparse. E i protagonisti sanno cosa vogliono e dove vogliono arrivare. Come nel teatro: si ascolta, si comprende il ruolo, ci si appropria del personaggio e poi si va in scena sicuri di riuscire a stupire. Così è ogni persona che entra nel tempo e lo vive in pienezza.

In questi ultimi mesi due esperienze mi hanno appassionato più di altre. Una escursione a Taormina e alle grotte di Alcantara e il cammino di Santiago.

Al campo scuola volevo spiegare ai ragazzi cosa fosse la vita. Non sapevo proprio come fare. Ai discorsi credo poco: lasciano il tempo che trovano e le parole, oltre che essere fonte di malintesi, hanno vita breve. Occorre segnare le pareti del cuore, se si vuol essere ascoltati e compresi. Così, senza dir nulla a nessuno, di notte siamo partiti per un viaggio … sconosciuto. Immaginate l’ansia dei ragazzi: partire a mezzanotte per non si sa dove! Arrivare a Reggio Calabria, attraversare lo stretto, lasciarsi baciare dal sole della Sicilia mentre in Calabria diluviava, raggiungere la spiaggia di Isolabella e fare il bagno. E ancora rimanere incantati (e qualcuno anche incastrato col piede sugli scogli taglienti), ripartire, raggiungere le gole di Alcantara: foto, pranzo, stupore. Poi il ritorno.

Una giornata che vale una vita. Sorprendente, nota solo a Dio, bella, dove tutto è dono; messa nelle nostre mani, goduta da chi è senza preconcetti, abitata dalla continua ricerca e dal desiderio di dire grazie al Cielo, tutti consapevoli di giocarsi sia nell’accettare con gioia il dono di esserci sia nel farsi collaboratori della gioia degli altri. Gioia e responsabilità sono il segno della consapevolezza di sapersi al sicuro nelle mani di Dio. Un'avventura meravigliosa, con compagni di viaggio veri capolavori del buon Dio.

Ma la vita è movimento, cammino. Guai a chi pensa di essere arrivato o si adagia sugli allori dei risultati (spesso presunti) raggiunti. Sono un veterano del Cammino di Santiago, ma non ne sono sazio. Anche quest’anno l’ho rifatto con l’animo rivolto alla considerazione del sapersi pellegrini nel tempo.

I pellegrini hanno una meta che non conoscono ancora: sentono dentro che è bella e per essa vale la pena sfidare ogni avversità e limite pur di raggiungerla e godersi l'incontro. Essi sanno osare, fanno della sfida per il possibile il loro pane quotidiano, sanno porre nell' "oltre" tutto il proprio cuore, camminano ogni giorno per incontrare e lasciarsi incontrare portando dentro di sè la passione per il bello e la gioia di vivere, e può peregrinare solo chi ubbidisce ad un voce interiore che invita a lasciare ciò che è comodo e sicuro e a credere in qualcuno che ti offre ciò che non vedi. Fatica, sofferenza, difficoltà nulla possono se si è abitati da una grande passione dentro. Credere in Dio e nell'amore significa decidere liberamente di diventare pellegrini, per sempre.

Che non sia il credente un appassionato del tempo perché in esso scorge l’unica possibilità per salvare tutta la propria umanità giocandosi da protagonista per dire l’amore verso Dio e verso il prossimo?

Dirsi con parole nel tempo

Domenica 17 agosto alcuni cinquantenni di Oppido hanno chiesto di pregare insieme per solennizzare il raggiungimento del traguardo del mezzo secolo di vita.

1. Il vangelo quel giorno ci proponeva il brano della donna cananea[2]; letteralmente, di “soffiare” sui carboni che rischiano di diventare cenere e farli di nuovo diventare fuoco, fiamma che arde e riscalda.

La fede nella religione, nelle forme già stabilite rischia di anestetizzare il rapporto con il Dio vivente. È per mettere in guardia ed evitare questo pericolo che i profeti invitano a stare svegli, a domandare, a ricercare, a non accontentarsi, a non adagiarsi, a non considerare Dio un totem, una statua. Dio è vivo, operante, sveglio, appassionato. Così come ogni vivente. Anzi, prima e di più: all'ennesima potenza, e tra i viventi i rapporti veri sono sempre nuovi, mai banali e scontati. E soprattutto mai falsi o abitudinari.

2. Di qui la necessità di avere uno sguardo di fede capace di rilevare l’amore di Dio oggi, nella storia e nella comunità. Diego Fabbri dice che per credere ci vuole un miracolo! A prima vista questa affermazione è imbarazzante, soprattutto per quanti pensano di avere in mano fermamente la propria vita spirituale orientata decisamente a Dio. A parer mio però le cose non sono così semplici, e penso di trovarmi in buona compagnia considerando la vita e la testimonianza di uomini e donne che hanno saputo riflettere sulla fede e che hanno versato anche lacrime quando han dovuto fare i conti con la notte oscura della solitudine esistenziale. Il Getsemani non dice nulla? La spina nella carne di san Paolo non ricorda qualcosa che avviene anche nella nostra vita? La notte oscura di san Giovanni della croce è pura fantasia?

Abitiamo un tempo unico, bello, straordinario sotto il profilo del progresso scientifico, ma non più incantato. Non possiamo pensare di leggere l’amore di Dio semplicemente guardando gli eventi e deducendone razionalmente l’esistenza di Dio e il suo amore. Ci vuole uno sguardo di fede per rilevare l’azione di Dio ove gli altri vedono solo il caso o la necessità. E questo non è facile. La ricerca del miracolistico in certa cattolicità è deleterio in quanto dispensa dalla fatica di ricercare e rilevare l’amore di Dio operante delicatamente oggi nella storia e allontana decisamente dal confronto serrato con il Gesù dei vangeli, l’Unico che svela completamente il volto di Dio e il senso della vita.

Cerchiamo spesso miracoli a nostra misura e secondo i nostri criteri per poter archiviare in santa pace la pratica relativa alla ricerca di Dio. Ma è proprio questo il modo di vivere dei personaggio biblici e di quella sterminata schiera di uomini e donne di Dio che tutti possono aver detto con sant’Agostino: “il mio cuore è inquieto, fin quando non riposa in te”?

Perché non guardare alla Madonna come alla donna del silenzio, del sabato santo, all’icona del credente che in continuazione porta dentro di sé la capacità di rilevare l’impossibile umano che per Dio diventa possibile? La fede è fiducia in Dio, in una invisibile presenza che sorpende e salva: null’altro!

Chi ha fiducia, chi ha fede, chi ama crede che quanto desidera ardentemente si realizzerà nonostante tutto perché l’altro nella relazione è capace di realizzare l’impossibile: il deserto fiorirà, mi sarai vicino anche nella morte, non mi abbandonerai anche quando io potrei abbandonarti.

Se il padre del ragazzo epilettico chiede di essere aiutato nella sua incredulità (Mc 9), se Gesù assicura di pregare per la fede di Pietro, se Mosè salva il popolo dalla disperazione mantenendo ferma la sua fede quando tutti gli altri imprecano contro Dio( cfr Es 14) è per dire che fede e incredulità stanno insieme e ci si salva insieme con tutti gli altri.

Nella nostra fede c’è spazio per il dubbio e l’incredulità. Ecco perché ritengo assurdo separare credenti e non credenti. La vitalità del crocifisso risorto è all’opera nella storia mia personale e di tutti i miei compagni di viaggio. E’ la fiducia la porta attraverso la quale Dio opera meraviglie nella nostra vita; è la fiducia nell’altro il presupposto per una solidarietà veramente umana. Il tutto nella consapevolezza del primato di Dio che giustifica e fonda la necessità della preghiera di abbandono: caro Dio, tu sai della mia poca fede e io mi affido a te perché tu possa compiere anche quanto io non so decidermi a fare. Non è questo il senso del Padre nostro, che tutti insieme preghiamo? Affidiamo a Dio il nostro bisogno di credere, di aver fiducia.

Ci vuole quindi rispetto verso tutte le forme di incredulità, facendoci segno della solidarietà, della prossimità di Dio ad ogni vivente.

In un incontro con il Consiglio pastorale invitavo ad evitare il rischio dell’esclusivismo e dell’arroganza spirituale affermando che il prete non è la chiesa così come il praticante non è la parrocchia. E’ necessario uno sguardo umile e “umido” verso questa umanità. Alla base ho sempre dinanzi la categoria biblica del “resto” tanto cara al Dio della Bibbia. Non è la massa imponente e rumorosa, è la minoranza fedele caratterizzata dalla mitezza e dalla povertà. Sono i cosidetti “poveri di Dio”, gli “anawim”, i curvati, i piegati (e anche piagati) perché sperano soltanto nel Signore: sono quelli che attendono tutto solo dal Signore e non si aspettano nulla dai grandi di questo mondo. Tutta la loro fede è in Dio.  E questi sono un resto, una minoranza. Come non desiderare per me e per te l’appartenenza a questo “resto”?

3. Amore io voglio, non sacrifici! Sembra ripeterci ancora oggi il profeta.

Quando scopriamo di essere sempre portati a dedicare tempo a delle frasi che attirano la nostra attenzione,  al punto da farne un leit motiv di intere giornate, allora ci rendiamo conto di essere stati catturati, messi in chiaro da quella espressione. E’ quasi come sentirsi liberati da un peso che ci portavamo dentro e a cui non sapevamo dare un nome.

“Amore io voglio, non sacrifici!” Questa è una di quelle frasi che liberano il cuore e la mente e, pur nella fatica dell’appropriazione di significati che non sempre restituiscono di noi una buona immagine, ci permettono di guardarci dentro e dire con decisione: ho capito, è quella la direzione!

Che cosa comprendo in questa espressione? Un tratto ben chiaro di Dio e ciò che a lui spiace.

3.1. Chi ha il coraggio di avvicinarsi ad una persona e spiattellare in faccia questa verità? “Ti voglio amare”! L’educazione, il ritegno, il rispetto, la libertà e tante altre dimensioni ci dicono dell’accortezza che deve contraddistinguere l’approccio all’altro. Dio invece è sfacciato, non permette titubanze, fraintendimenti. Voglio l’amore! Che cos’è la storia di ogni vivente e la storia dell’umanità se non lo srotolamento, lo svelamento dell’amore appassionato di Dio per il suo popolo? Un popolo infedele che lo tradisce, che lo inganna, che si dà alla prostituzione e alla depravazione: e nonostante tutto l’amore di Dio è così forte che sa perdonare ed essere misericordioso ancor prima che il popolo decida di tornare a lui[4].

3.3. L’amore di Dio da cosa è mortificato? Il popolo nonostante tutto commette ogni sorta di malvagità. E qui i profeti diventano coraggiosi e…antipatici: l’incapacità a fare il bene, questa tendenza a fare il male deriva dalla mancata conoscenza del Signore:

Osea 4 1 «Ascoltate la parola del Signore, o figli d'Israele,
perché il Signore è in causa
con gli abitanti del paese.
Non c'è infatti sincerità né amore,
né conoscenza di Dio nel paese…6Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza.
Poiché tu rifiuti la conoscenza,
rifiuterò te come mio sacerdote;
hai dimenticato la legge del tuo Dio
e anch'io dimenticherò i tuoi figli.

 La mancanza di conoscenza del Signore che rende il popolo di Israele così perverso deriva dalla negligenza dei sacerdoti, della classe dirigente!

Tutti coloro che hanno una qualche responsabilità, tutti coloro che hanno un’influenza su un’altra persona possono fare un solo peccato: non far conoscere Dio. Il peccato dell’altro è mio nella misura in cui non ho trasmesso fedelmente e con tutte le mie forze Dio!

Nessuno si senta escluso o giustificato o condannato. Il profeta parla a tutti e ad ogni persona nel suo stato di vita e nella sua responsabilità. La mancata conoscenza di Dio è la causa del peccato dell’uomo.

3.4. L’aspetto drammatico e  sconcertante è la critica al culto, ai sacrifici, alle manifestazioni religiose fatte con cuore non puro.

Isaia lo afferma senza mezzi termini.

Is 1,11«Perché mi offrite i vostri sacrifici senza numero?
- dice il Signore.
Sono sazio degli olocausti di montoni
e del grasso di pingui vitelli.
Il sangue di tori e di agnelli e di capri
io non lo gradisco.
12Quando venite a presentarvi a me,
chi richiede a voi questo:
che veniate a calpestare i miei atri?
13Smettete di presentare offerte inutili;
l'incenso per me è un abominio,
i noviluni, i sabati e le assemblee sacre:
non posso sopportare delitto e solennità.
14Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste;
per me sono un peso,
sono stanco di sopportarli.
15Quando stendete le mani,
io distolgo gli occhi da voi.
Anche se moltiplicaste le preghiere,
io non ascolterei:
le vostre mani grondano sangue.
16Lavatevi, purificatevi,
allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni.
Cessate di fare il male,
17imparate a fare il bene,
cercate la giustizia,
soccorrete l'oppresso,
rendete giustizia all'orfano,
difendete la causa della vedova».

Qui si trova tutta l’amarezza di Dio. Quasi a dire: mi volete bene a parole, ma appena potete mi tradite, vi dimenticate di me, mi mettete sotto i piedi! E’ un vero processo alla comunità con la chiara accusa di infedeltà, di incoerenza.

Le vostre novene, sembra dire Dio tramite il profeta,  le vostre assemblee mi fanno schifo, io giro la faccia pur di non vederle. Il Signore si vergogna del popolo salvato: perché con il suo comportamento smentisce la giustizia di Dio e il culto diventa una scusa, una copertura per non fare la volontà di Dio.

Dio, insomma,  aborrisce le cerimonie ricche di simboli ma vuote di cuore.

3.5. Si deve però far ben attenzione al fatto che i profeti non chiedono mai l’abolizione del culto. Essi invitano con forza a non illudersi che si è giusti osservando una volta ogni tanto le regole del culto e per il resto della vita o della giornata sentirsi liberi di imbrogliare il povero o ingannare il prossimo o concentrarsi sull’accumulo di ricchezze.  Il Dio che ama non accetta, non si fa prendere in giro da coloro che frequentano ipocritamente i luoghi di culto e non sono motivati da una vera passione verso il bene.

3.6. Un’ultima cosa mi sembra di particolare rilevanza. Il Dio che ama, appassionato, che vive il tradimento alla fin fin non chiede attenzione a sé, ma chiede qualcosa di sorprendente: imparate a fare il bene!

Is 1,17 imparate a fare il bene,
cercate la giustizia,
soccorrete l'oppresso,
rendete giustizia all'orfano,
difendete la causa della vedova

E fare il bene significa operare da giusti, non ostacolare la giustizia.

Am 521«Io detesto, respingo le vostre feste solenni
e non gradisco le vostre riunioni sacre;
22anche se voi mi offrite olocausti,
io non gradisco le vostre offerte,
e le vittime grasse come pacificazione
io non le guardo.
23Lontano da me il frastuono dei vostri canti:
il suono delle vostre arpe non posso sentirlo!
24Piuttosto come le acque scorra il diritto
e la giustizia come un torrente perenne.
25Mi avete forse presentato sacrifici
e offerte nel deserto
per quarant'anni, o Israeliti?

Le leggi di natura dicono che come scorre l'acqua dovrebbe scorrere la giustizia mentre voi la ostacolate, constata amaramente il Signore nelle parole del profeta.

Quando si ama una persona si cerca sempre di indovinare ciò che piace, i suoi desideri, la sua volontà. La prima maniera in cui manifestiamo l'amore per Dio è fare la sua volontà: instaurare la giustizia!

Quando in una comunità credente si continuano a fare atti di culto, sacrifici, si continua a invocare con belle preghiere, ma non si fa la sua volontà, non si opera secondo giustizia, non si fa conoscere Dio ne deriva qualcosa di assolutamente grave e preoccupante.  Il nome di Dio può essere negato, bestemmiato solo dai credenti, che dicono e non fanno! Di fronte a questo ognuno deve assumere la propria responsabilità. La parola di Dio riguarda tutti. Sono invettive che devono far sobbalzare tutti.

Operare la giustizia significa impegnare tutto se stessi, il proprio corpo  e il proprio tempo  a favore del diritto del prossimo ad una vita dignitosa, fuggendo qualsiasi forma di riconoscimento o privilegio.

L’oggi del credente, tempo di Dio affidatocon fiducia alla responsabilità dell’uomo

La parola di Dio non esaurisce la sua forza nel gettare luce su una situazione del passato. Essa funziona solo nella misura in cui se ne coglie l’attualità.

Il lettore porta a compimento l'esercizio della lettura nel momento in cui si rende contemporaneo con la Bibbia, ne assume la griglia e guarda la realtà, il suo presente con gli occhi di Dio.

A prima vista tutto è sconvolgente, tremendo: verrebbe voglia di arrendersi. Poi però subentra la speranza: la santità è possibile proprio in questa situazione!

Nel libro della Genesi si dice che Dio ogni pomeriggio scende a passeggiare nel creato. Molte volte immagino la passeggiata pomeridiana di Dio proprio nella nostra parrocchia. Ma in due modi. 

Una prima volta annunciato dagli angeli e vestito da Dio, con tanto di tunica lucente e la barba elegantemente ordinata; in forma ufficiale, diremmo. Che bello, magnifico il nostro Dio! Immagino l'accorrere festoso e solerte di tutti; i bimbi per fargli festa, tanti giovani per pura curiosità, altri con l’emozione a mille. Non mancano gli approfittatori, che contano di  risolvere grazie a Lui ogni sorta di problemi. Si distinguono i poveri, la massa imponente dei semplici di cuore, che escono dalla fatica di rimanere fedeli nelle difficoltà per poter finalmente sorridere a Dio. E’ scontata la ressa e la corsa per toccare Dio, per poter conservare come trofeo la sensazione impressa nella memoria del flusso di energia vitale che ne deriva.

Sì, un Dio annunciato dagli angeli farebbe il tutto esaurito. Si sospenderebbero tutte le attività: scuole chiuse, palestre chiuse, negozi chiusi, uffici chiusi. E se per il Presidente della repubblica ci si organizza con le bandierine dell'Italia, per Dio si corre così come ci si trova: a lui non bisogna sventolare bandiere ma soltanto la voglia di ringraziare e il desiderio di vedere quanto prima il male e la sofferenza cancellati dalla faccia della terra. Tra le tante richieste  presentate al buon Dio il bisogno più grande è sempre lo stesso: essere perdonati per il troppo vivere come se Lui non esistesse.

Ma sono i bambini che interpretano la parte più bella della comunità e nell'incontrare Dio si mostrano veri campioni in umanità. Sono riusciti a mala pena ad avanzare, perché i "grandi" sono sempre anche egoisti, saccenti, presuntuosi e... "prime donne"! Arrivati alla fine davanti all'Onnipotente, lo hanno circondato quasi a proteggerlo dai grandi. I piccoli proteggono Dio; i grandi pretendono da Dio. E quando un silenzio assordante regna sovrano, un bambino si avvicina per dire qualcosa a Dio nell'orecchio, perché i piccoli non gridano le cose vere vere: le sussurrano, avendo cura di aggrapparsi con le mani al collo per poter subito dopo con lo sguardo entrare nel cuore e convincere teneramente. Nell'orecchio di Dio vien fatto risuonare con voce chiara e delicata: "Perché non rimani a giocare con noi?" Che grandi i bambini, sanno andare incontro a Dio chiedendo proprio al buon Dio quello che anche a lui piace. Tanti hanno chiesto a Dio di lavorare per essi, ed è giusto; i bambini chiedono a Dio la sua compagnia, di mettersi in gioco, di diventare uno di loro per gareggiare nella gioia. E così il buon Dio, in visita ufficiale riparte sapendo ora che c'è una comunità dove dei bimbi lo attendono per giocare insieme!

Sappiamo però che questo è un sogno. Troppo comodo avere l’orario della visita di Dio. E forse poi neanche tanto entusiasmante. Un Dio scontato con orario di arrivo e orario di partenza ci lascerebbe in fondo troppo tempo nella nostra solitudine e nei nostri guai.

Il buon Dio in realtà tutti i giorni scende a passeggiare nella nostra comunità. La conosce bene, tutta. Perché Dio viaggia in incognita, da straniero.  Non per spiare, ma per non disturbare. Non per ricevere l’ossequio, ma per chiedere la carità, per ricevere un po’ di pane e amore. Non per giudicare, ma per far risorgere nel cuore di tutti quella tenerezza che sola è capace di far vibrare tutte le membra del corpo all’unisono. Dio visita il suo popolo in continuazione perché non si stanca mai di sperare e perdonare. E poi a Dio piace nascondersi e farsi cercare e dare indizi e far sentire passi di avvicinamento: proprio come fa un amante che deve sedurre l’amato attirandolo a sé.

La griglia profetica ci autorizza a immaginare da un lato lo scoraggiamento, la delusione, il rammarico e nello stesso tempo anche la fiducia, la compassione, la tenerezza, la fede di Dio .... in ognuno di noi.

Quanta distanza esiste tra il nostro rendere culto a Dio e la vita reale! Facciamo battesimi, comunioni, cresime, matrimoni, funerali a tutti. Le chiese sono piene, le processioni affollate. Ma nella nostra comunità non è sempre e neanche principalmente l'amore di Dio a regolare i rapporti tra di noi. La piaga della droga dice chiaramente che ci sono delle fasce deboli (adolescenti, giovani e anche adulti) che diventano facile preda di marpioni che non hanno il minimo scrupolo; il tutto spesso anche favorito dalla tendenza a nascondere e negare da parte delle famiglie e dei genitori pur di difendere il "buon nome"; per non parlare dall'omertà colpevole di quanti pensano che farsi i fatti propri sia una forma di rispetto dovuta alla libertà dell'altro. Ma ditemi: Dio può essere contento quando ci vede girare gli occhi di fronte al male? Se anche lui si comportasse così nei nostri confronti saremmo fritti. Invochiamo aiuto e vicinanza dal Cielo per poi girare gli occhi e stare lontani da chi forse noi potremmo aiutare a salvarsi...

A Dio non sfugge neanche il dramma delle altre dipendenze, da alcool e da gioco. La dimensione che fa più soffrire secondo me è l'indifferenza che spesso si traduce in sfacciato incoraggiamento al fine di divertirsi o guadagnarci sopra. Si può essere contenti nel sapere che si sta vendendo qualcosa che l'altro utilizzerà per farsi del male divenendo poi anche oggetto di scherno per gli "amici"? Si può essere contenti di guadagnare con macchinette da gioco che sono studiate per far perdere soldi e dignità a quanti vi si avvicinano? È lecito ad un credente far finta di non sapere che si sta rovinando una persona, una storia d'amore, una famiglia? Penso proprio che sono inconciliabili il senso di Dio e il guadagno o il divertimento a tutti i costi. Bestemmiare Dio significa metterlo sotto i piedi, toglierlo di mezzo quando bisogna prendere decisioni. I credenti bestemmiano Dio quando lo nascondono a se stessi per poter agire indisturbati nell'operare iniquamente.

Si avrà pure la sfrontatezza di obiettare: ma tutto quello che facciamo è legale!  È verissimo: ma non tutto ciò che è legale è anche morale. E quando si crea un conflitto tra legge e coscienza (ove dovrebbe regnare sovrano il senso di Dio), il credente ha diritto ad esercitare l'obiezione di coscienza. Questo lo stabilisce la legge. In molte zone d'Italia sono in atto campagne per sensibilizzare i gestori di macchinette da gioco su queste tematiche. Mi piacerebbe pensare ad un sussulto di "umanità" da parte dei responsabili, al loro essere capaci di decidere non più per il profitto ma per il bene dell'altro considerato non più cliente, ma fratello, figlio! 

Un'altra dimensione che stride fortemente con il nostro essere credenti è spesso la poca propensione a sostenere l'amore. Quello vero. Entrano in gioco due fattori. Il primo è un tratto tipico di noi lucani, il solipsismo; l'altro è un falso senso del rispetto che si deve alla sfera affettiva.

In realtà dovremmo appropriarci del fatto che le virtù, i valori vanno sostenuti, incoraggiati, coltivati, difesi, vissuti in prima persona. Siamo chiamati a  difendere il senso delle virtù insito in ogni persona, nei ragazzi, nei giovani così come nei grandi con la testimonianza, con la visibilità delle nostre decisioni.

Sappiamo bene che il motore della vita è l’affettività, fatta di passione, di sentimento, di gesti e di scelte coinvolgenti e totalizzanti. Tutti sappiamo di aver bisogno di amore come dell’aria che respiriamo.

Sperimentiamo nella fede Dio come amore e questo diventa il fondamento della nostra libertà e responsabilità in quanto il nostro agire è finalizzato a “piacere” a Dio.

L'amore in quanto tale è una scelta, uno stato di vita che va rinnovato ogni giorno.

Quel "per sempre" detto sull'altare deve poi diventare storia e fare i conti con i problemi, con lo scoraggiamento, con le delusioni, con i fallimenti che la vita non risparmia a nessuno. Quel timido “ti amo” sussurrato per la prima volta dai nostri ragazzi ha bisogno di essere compreso, rispettato, spiegato, aiutato a crescere.

Spesso siamo tentati di cedere alla tentazione di chiacchierare le scelte e le situazioni altrui per poi giudicare con faciloneria veri e propri drammi! L’amore può essere attaccato facilmente anche da intromissioni distruttive.

Si ama l'amore se lo si difende a spada tratta dalle banalizzazioni, se si sostengono i giovani e soprattutto i coniugi  nella difficile arte della perseveranza e della fedeltà, se si infonde coraggio per far emergere e risplendere tutte le qualità che ornano ogni vivente. Si ama l'amore se si è delicati e premurosi, capaci di entrare in punta di piedi nella vita degli altri, portare serenità e fiducia per poi sparire  senza aspettarsi nulla.

Di quanto amore ha bisogno l'amore! E Dio ne sa qualcosa.

Chissà quale è la reazione di Dio di fronte al tentativo peraltro neanche tanto mascherato di marginalizzarLo e dare quindi sempre per scontato che Lui non è mai al primo posto, che viene sempre dopo....

Tutti parlano di Dio, ma poi concretamente si preferisce agire come se non ci fosse.

Solo un esempio. È risaputo che non accompagnare i figli in chiesa significa spalancare la porta a un prossimo abbandono della pratica religiosa da parte dei ragazzi. In chiesa, come a tutti gli eventi importanti è bello andare con i figli. Solo con la propria presenza si dice al piccolo che quell'incontro è qualcosa cui nessuno può rinunciare. Accompagnare i figli in chiesa solo il giorno del battesimo, poi alla prima comunione, poi alla cresima e al matrimonio certamente dice che quelli sono giorni unici, particolari; ma manca l'essenziale: ad accreditare Dio nella vita del piccolo un ruolo molto importante lo svolgono i grandi e soprattutto i genitori! Se il bambino non vede i grandi custodire e testimoniare la familiarità con il buon Dio, come faranno i piccoli a crescere nell'amore di Dio? 

E così la fede si riduce a una pratica burocratica: "fare"i sacramenti... Invece la fede è adesione a Dio: un fatto concreto, visibile, compromettente. Non un semplice fatto intellettuale, da confinare nella sfera del privato e del riservato. 

Assegnare il secondo posto a Dio di fatto significa ritenerlo non una cosa seria, una realtà per la quale giocarsi la faccia. Soprattutto chi sa di vivere di amore può capire Dio. Gli uomini e le donne che conoscono la bellezza del sapersi amati e la fatica di custodire l’amore cercano di incrociare Dio per ricevere una carezza e per consolarlo. Sì, Dio viene per abbracciare e per essere consolato. Chi ama sa quanta sofferenza si prova quando ci si aspetta un po' di amore, di vicinanza e ci si ritrova con un partner che si è dimenticato…. Chi ama sa come si rimane profondamente lacerati dentro quando si viene a sapere che il primo posto nella vita del proprio amore è riservato ad altri…. anziché ai figli o alla moglie…. Chi ama conosce il sapore amaro della delusione che sgorga a fiotti dentro il cuore quando ci si accorge di essere bistrattati.

Dio viaggia per lasciarsi consolare, grande è ancora la sofferenza di quanti amano.

Ma a ben vedere il viaggio di Dio nella nostra parrocchia è segnato prevalentemente dalla speranza. Sono tanti i piccoli segni di un bene possibile che il cuore di Dio si riempie già di gioia.

La visita di Dio si, mette in chiaro le storture della vita. E questo fa star male nella misura in cui ci si sforzava di mascherare comportamenti ambigui e atteggiamenti subdoli. Ma il passaggio di Dio è per rafforzare la fede, per sostenere la speranza, per incoraggiare la carità. Nella tradizione ebraica si dice che il male non va neanche "parlato", perché già dire il male inquina l'aria. Il viaggio di Dio nella nostra comunità è funzionale non al giudizio, come molti vorrebbero, ma alla misericordia. Dio viene: e già questo è indizio positivo. Viene tutti i giorni a lottare a fianco di chi soffre, a tenere la mano di chi si sente solo, ad asciugare le lacrime di chi crede nell'amore e si ritrova umiliato nel corpo e nello spirito; Dio trova il tempo per far visita ai poveri, per ascoltare la preghiera dei semplici, per accettare l'elemosina degli umili; Dio non ha paura ogni giorno di farsi vedere sorridere accanto a chiunque ieri ha sbagliato, di prendere un boccone con quanti pur credendo solo nelle tre S (sesso, soldi, stomaco) non esitano a farsi vedere insieme solo con gente importante, di essere giudicato un perdente per il solo fatto di aver preferito i poveri, gli umili, i miti, i pazienti, i misericordiosi che sono in mezzo a noi.

Dio viene tutti i giorni per restituire dignità ad ogni vivente, per incoraggiare chi vive di pane e amore.

Dio viene tutti i giorni perché sa che la fatica di credere oggi è il vanto non solo degli angeli in cielo, ma anche di tante donne e uomini di buona volontà!  Ad Oppido, oggi non meno di ieri. Dio viene tutti i giorni per dire che lui la fede in noi non l'ha mai persa e che sta lì a scervellarsi sul da fare per rendere la vita un sogno.

Che non sia l'incontro con Dio il punto di partenza per vivere di amore e non di umore, il farsi dono più che il mangiare l'altro?

Vorrei concludere questa mia gratuita irruzione nel vostro tempo prima di tutto ringraziando per la pazienza e benevolenza dimostratemi in questi anni. Conosco i miei limiti, e quindi la gratitudine è davvero immensa.

Esorto tutti, davvero tutti, ad appropriarsi delle proprie prerogative, delle proprie capacità per sorprendere. Dio, il Creatore, Colui che ci ha sognati dall’eternità ci ha anche equipaggiati per riuscire nel nostro essere capaci di vivere in modo pienamente umano, col cuore, ogni nostra giornata. La pienezza di senso dipende dalla grazia di Dio e dalla nostra responsabilità. Ognuno si senta in diritto di osare. Di osare e di aiutare Dio, di aiutarLo vivendo il primato della passione per il bene dell’altro.

Auguro a tutti il coraggio di non cedere mai alla rassegnazione e al facile giudizio su di sé e gli altri. Occorre sì essere critici e chiamare i limiti per nome. Ma mai dimenticare che l’ultima parola è sempre quella di Dio, che nonostante tutto crede nell’umanità e in ognuno di noi.

E che nessuno mai provi l’amarezza per il mancato coraggio di amare con tutto il cuore. E’ nota a tutti la storia del mendicante e del re narrata da Tagore.

Ero andato mendicando di uscio in uscio lungo il sentiero del villaggio, quando in lontananza mi apparve il tuo aureo cocchio, simile ad un sogno meraviglioso.

Mi domandai: chi sarà mai questo Re di tutti i re? Crebbero le mie speranze, e pensai che i giorni tristi sarebbero ormai finiti; stetti ad attendere che l'elemosina mi fosse data senza doverla chiedere, e che le ricchezze venissero sparse ovunque nella polvere.

Il cocchio mi si fermò accanto; il Tuo sguardo cadde su di me, e Tu scendesti con un sorriso. Sentivo che era giunto alfine il momento supremo della mia vita.

Ma Tu, ad un tratto, mi stendesti la mano destra dicendomi: "Che cos'hai da darmi?".

Ah, quale gesto veramente regale fu quello di stendere la Tua palma per chiedere l'elemosina ad un povero! Esitante e confuso, trassi lentamente dalla mia bisaccia un acino di grano e Te lo porsi.

Ma quale non fu la mia sorpresa quando, sul finire del giorno, vuotai a terra la mia bisaccia e trovai nell'esiguo mucchietto di acini, un granellino d'oro!

Piansi amaramente per non aver avuto cuore di darTi tutto quello che possedevo...

La santità non è la qualità dei perfetti. E’ il vestito della persona che si lascia incontrare da Dio anche nel suo limite e nel suo fallimento. Che si sorpende nel sentirsi chiamata per nome e destinataria di una parola di tenerezza e di incoraggiamento. Che si sforza di spiegare con la vita la bellezza di quell'incontro. 

A tutti auguro la capacità di amare oggi, in questo tempo, la vocazione alla santità, per essere capaci di incontrare gli altri in nome e per conto del buon Dio! 


[2] 2 Tm 1,6. Cfr anche Is 57,15

[4] Cfr Os. 2 6Perciò, ecco, io la sedurrò,
la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore.
17Le renderò le sue vigne
e trasformerò la valle di Acor
in porta di speranza.
Là mi risponderà
come nei giorni della sua giovinezza,
come quando uscì dal paese d'Egitto.
18E avverrà, in quel giorno
- oracolo del Signore -
mi chiamerai: «Marito mio»,
e non mi chiamerai più: «Baal, mio padrone».
19Le toglierò dalla bocca
i nomi dei Baal
e non saranno più chiamati per nome.
21Ti farò mia sposa per sempre,
ti farò mia sposa
nella giustizia e nel diritto,
nell'amore e nella benevolenza,
22ti farò mia sposa nella fedeltà
e tu conoscerai il Signore.
25Io li seminerò di nuovo per me nel paese
e amerò Non-amata,
e a Non-popolo-mio dirò: «Popolo mio»,
ed egli mi dirà: «Dio mio»».

Ultima modifica il Venerdì, 30 Gennaio 2015 14:35
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