Martedì, 24 Dicembre 2019 17:28

Natale, chinarsi e adorare.

Scritto da

Ogni vivente diventa il Dio che adora. 

Omelia per il Natale 2019

Se ripetiamo gesti non è per sprecare tempo, ma per restituire vita ai nostri giorni.
Nelle ripetizioni veniamo a ridirci, accarezzando e gridando silenziosamente, il senso della nostra vita.
Nel compleanno ci ridiciamo che il tempo non è nostro, è dono; e che ci sono tante persone per le quali siamo chiamati ad esserci. Nel compleanno ripetuto  ci ricordiamo che non dobbiamo sprecare tempo e che non è vero che siamo sprecati: per tanti abbiamo un senso.
Nel tran tran della quotidianità sovente andiamo a Dio. Per ringraziarlo quando ciò che desideriamo si avvera, per lamentarci quando le avversità ci lasciano impietriti. E tante volte ce ne dimentichiamo pure: quando di Dio non ne vogliamo neanche sentir parlare o quando diventa  solo un fastidio di cui si può facilmente fare a meno: tanto lui non è ingombrante.
E il Dio creduto e proposto è  portentoso, mirabile, il massimo del massimo: semplicemente, Dio! Ha tutto nelle mani, conviene farselo amico, perché all’occorrenza può tornarci utile. E’ onnipotente, può fare anche quanto io non oso neanche immaginare, da paura! Fa quello che vuole, è veramente libero: non come noi mortali, che ci scontriamo in continuazione con il limite. E’ il giudice di tutti, possiamo evitare di pensarci ma alla fine si presenterà a rimproverarci e a castigarci per  quanto non abbiamo fatto secondo i suoi dettami. Non ha bisogno di niente, perché un dio che ha bisogno di qualcosa non può essere Dio! Non muore mai: beato lui!
Sì, il Dio delle religioni è un prodotto confezionato ad arte per portarci fuori strada, per allontanarci da Dio. E’ una strategia ben collaudata per usare Dio per fini privati, molto privati.
Natale è sempre un punto di arrivo e una ripartenza. E’ una sosta significativa nel cammino della vita. Contemplare Dio in un corpo adagiato in una mangiatoia. C'è un unico imperativo: adorare. Ad-orare: portare alla bocca, baciare. Sì: il primato non del mangiare, fagocitare quanto ci è dinanzi, ma baciare, portare alla bocca e vivere del respiro dell'altro. Chinarsi e adorare, forse i gesti in assoluto più nobili.
Si comprende l’amore, si conosce l’amore quando si accarezza un corpo e ci si abbandona tra due braccia. Si comprende  cosa significhi avere un figlio non quando lo si immagina, ma quando si gode del profumo di bimbo e si fanno i conti con una voce e un volto.
E’ il corpo il luogo dello svelamento del senso di quanto si cerca quotidianamente. Se si vuol conoscere lo spirito di un popolo devi conoscere la sua terra, diceva Goethe. Non si può pensare se non con i piedi a contatto con la terra: e la terra è la materia del corpo, è la lavagna ove il maestro scrive quando è a tu per tu con l’adultera, è la materia che contiene il senso, il soffio di vita.
Non si può parlare di Dio e quindi della persona, di ogni vivente se non di fronte al corpo di Gesù adagiato nella mangiatoia, o appeso in croce o abbandonato sulle ginocchia della Madonna. Non so perché, ma  nel presepe io vedo sempre lo spazio giusto per la pietà di Michelangelo. E’ a partire da quel corpo che possiamo ricominciare a parlare di Dio. Che non ha tutto nelle mani, ma che si offre alle mani di tutti. Che non è onnipotente, ma inerme e debole,  capace solo di piangere e sorridere. Che non fa quel che vuole, ma è in balia dei progetti dell’Erode o del Pilato della situazione. Che non giudica, ma è vittima di pregiudizi ingiusti. Che ha bisogno di tutto l’amore di chi lo incrocia per continuare a vivere. Che non è solitario, ma ha bisogno di compagnia. Che si lascia uccidere ed entra nel buio della morte, per dire la misura della solidarietà.
E ogni vivente è chiamato a essere Dio; a ridire nel suo corpo, nella sua storia il Dio in cui crede.
Se facciamo ancora Natale  è perché abbiamo bisogno di fare chiarezza dentro di noi. Dove vogliamo arrivare, chi vogliamo essere? Verso dove andiamo? Chi siamo?
Il sole sorge ripetutamente ogni mattino per farci alzare lo sguardo e ridirci che la luce viene dall’alto, per accarezzarci con i suoi raggi e incoraggiarci ad osare. Il Natale ritorna ogni anno per restituirci alla nostra umanità. E alla nostra divinità. Non siamo Dio. Possiamo aiutare Dio, amando. E la misura dell’amore è la familiarità con quel corpo. Il cui profumo è l’essenza della nostra gioia e il segreto per andare avanti nonostante tutto.
Non è importante credere, ma credere nel vero Dio. Perché se si crede in un idolo o in un prodotto a proprio uso e consumo si spreca la vita. La smania di onnipotenza, l’ostentazione della ricchezza, la ricerca della gloria umana, l’uso delle persone, la bramosia di avere in fondo rivelano il dio in cui crediamo. I veri atei a volte siamo proprio noi uomini di chiesa. Che parliamo bene di Dio, ma il  cuore è lontano da Dio. Adoriamo noi stessi usando Dio. Abili nel  mascherare, dietro la falsa emancipazione del denaro e del primato dell’apparire, le logiche arcaiche di una pletora di improbabili patriarchi e di mediocri cortigiani. Formalmente impeccabili, ma sostanzialmente barricati nelle vesti e nei ruoli che ci rapiscono: come gli scribi che rimangono a Gerusalemme nel tempio a parlare di Dio a Erode. Il dramma è dimenticare, scordare, allontanarsi dalla polvere di terra, trascurare che siamo umani e che nell’accoglienza dell’umanità che ci circonda ci salviamo e troviamo gioia. Ma l’amore per il potere e la ricchezza ormai regnano sovrani nel cuore di tanti.
Ed è di nuovo Natale. Per ricordarci la nobiltà della nostra esistenza, la graziosità del corpo, ciò che dobbiamo guardare e adorare. Natale è lo spartiacque della storia di ognuno di noi: c’è chi entra nella gioia e chi si turba.
Entra nella gioia chi ha consumato tutte le forze per cercare Dio e ora trova finalmente il meritato riposo godendosi attimi infiniti di pienezza di senso. Sono coloro che si mettono a disposizione senza imporre la presenza, coloro che fanno quotidianamente i conti con la propria fragilità, coloro che sono contenti di scoprirsi piccola parte di un progetto infinitamente grande, coloro che vivono la coerenza al proprio cuore come unico criterio di giudizio, coloro che sanno che si esiste veramente se amati gratuitamente e non hanno vergogna di lasciarsi identificare come cercatori di senso, mendicanti di amore. Come Dio.
Siamo come siamo guardati. E cerchiamo sempre uno sguardo capace di restituirci ciò che desideriamo essere. E guardando il corpo di Gesù ci sentiamo avvolgere dal grido silenzioso di un Dio che ringrazia perché l’abbiamo cercato abbandonando il richiamo dei nostri interessi e delle nostre priorità, perché gli abbiamo fatto compagnia amando non cose o pensieri, ma la polvere di terra di un’umanità che è via al Cielo.
Auguri di cuore a quanti guardando al bambino Gesù scoprono la bellezza del potergli offrire un dono ogni qualvolta il corpo del prossimo viene nobilitato dalla nostra attenzione e premura. Auguri a quanti si sforzano di essere umani portando così a compimento il sogno di Dio su ogni vivente.

Ultima modifica il Mercoledì, 25 Dicembre 2019 08:33
Altro in questa categoria: « Parlare a Dio, parlare di Dio
Devi effettuare il login per inviare commenti