Sabato, 17 Gennaio 2015 21:53

La casa, prima dimora di Dio

Scritto da

Lettera alla parrocchia, Natale 2010

Oppido Lucano, 20 dicembre 2010

A mo’ di introduzione

Carissimi amici,

so di osare molto chiedendovi la benevolenza di un po’ del vostro prezioso tempo; tuttavia, sento già che me l’avete accordata sulla base di alcune semplici considerazioni.

A Natale siamo per tradizione predisposti a fare qualche sacrificio in più perché vogliamo anche noi, e non solo i nostri piccoli, dimostrare di essere capaci di diventare più buoni: la paziente lettura di queste pagine può costituire un’attestazione dello stato avanzato nel nostro cammino di perfezione, segnato anche dal saper sopportare le persone moleste... come me!

A ciò si aggiunge anche il fatto che in questi anni abbiamo avuto modo di incrociarci con lo sguardo, anche in macchina... e non ci siamo mai lasciata sfuggire l’occasione di donarci un sorriso, pur nella reciproca consapevolezza di essere delicatamente estranei, se così si può dire. Eppure nella delicatezza di quell’incrocio di sguardi ho sempre letto non solo il rispetto che si tributa ad ogni vivente, ma soprattutto l’espressione di una benevolenza di fondo che alberga nell’animo di ogni viandante. Ed è quella benevolenza che mi spinge ad osare...

Non da ultimo mi spinge a scrivervi, e quindi a parlarvi, il profondo senso del limite che contraddistingue tutto quanto tento di fare. La fretta, il poco tempo a disposizione (ma è proprio vero?), la leggerezza delle relazioni, la paura di urtare suscettibilità delicate, il timore di una parola proferita a sproposito hanno reso il nostro “incontrarci” leggero, mai banale, ma pur sempre parziale. Ecco quindi il forte desiderio di esprimere chiaramente quanto provo dentro di me nell’incontrarvi e, soprattutto, la passione per il possibile che costituisce poi un aspetto non secondario della speranza di un futuro più bello, fatto di serenità e gioia, di concordia e solidarietà, di stima reciproca e valorizzazione delle potenzialità dei singoli.

Perchè scrivo a voi

Vorrei farvi giungere il mio cordiale saluto accompagnato dalla speranza che la serenità guadagni sempre più spazio nelle vostre giornate. La gioia e la fatica della vita di coppia sono gli ingredienti principali di ogni giornata e solo la libertà responsabile e la voglia di bene di ognuno di voi è in grado di determinare l’orientamento del cammino della vita.

Da parte mia sono fermamente convinto che nella vostra casa, nella dimensione familiare, è contenuta la chiave di lettura del tempo presente e vengono poste le basi, le fondamenta (che poi non si vedranno...) della società di domani. La vostra vita, il vostro essere marito e moglie, il vostro essere mamma e papà ha un’importanza capitale, un valore enorme che mi porta a guardare la realtà con umiltà sempre maggiore.

Al mio saluto voglio quindi aggiungere tutta la mia stima e gratitudine per la gioia che riuscite a testimoniare con le vostre scelte coraggiose; il mio incoraggiamento e il mio plauso per i progetti di bene che custodite tra le mura domestiche; la mia comprensione e il mio sostegno per tutti i piccoli e grandi fallimenti e le non poche notti insonni e bagnate di lacrime che fanno parte della vostra vita e rendono il vostro sorriso semplicemente eroico.

La casa, luogo privilegiato della presenza di Dio

Voi siete la scommessa di Dio. Avete letto bene. Non sto prendendo in giro nessuno. Siete così importanti che il buon Dio ha puntato tutto su di voi! Non oso farvi considerazioni dotte (non ne sono capace!) sull’importanza della famiglia nella storia e tantomeno voglio importunarvi con ragionamenti di alta teologia (non ne avete bisogno).

Mi limito a richiamare la vostra attenzione su un fatto: è Natale, facciamo memoria della nascita di Gesù, eppure tra i nostri ricordi dominano incontrastati i presepi poveri e semplici realizzati con l’aiuto di mamma e papà; le cene della vigilia caratterizzate da una luce speciale e da un calore indescrivibile; la voglia di giocare insieme con un occhio al “bottino” e uno all’orologio per non perdere la messa di mezzanotte e così sfidare quel cattivone di Morfeo, che si prendeva la sua rivincita in chiesa...; e al mattino il rito di indossare l’abito della festa, quello che mamma e papà avevano acquistato nonostante i nostri capricci e i pochi soldi a disposizione, apparentemente per accontentarci, ma in fondo per adornare quella creatura/dono di Dio che costituiva il motivo vero della loro vita...; poi la messa con i canti natalizi e la promessa fatta dinanzi a Gesù bambino di essere più buono, il rito degli auguri ai parenti con la speranza di racimolare qualcosa, il pranzo con la tensione per la letterina da far trovare sotto il piatto....

Consideriamo bene il tutto: Dio ci ha raggiunto nelle nostre case, è lì che lo abbiamo incontrato per la prima volta! Il gesto di adagiare il bambinello nella capanna, o di fare gli auguri ai vicini, di ricordare i bambini poveri o orfani costituiscono solo la parte a noi nota di tutto un itinerario che ha i suoi momenti più belli in ciò che non abbiamo visto ma che pur esiste! I nostri genitori hanno pregato per noi il buon Dio prima della nascita, hanno confidato solo a Lui i loro desideri chiedendo di custodirli per l’eternità, si son affidati alla Madonna e a santi a loro cari . Quando siamo nati, il primo grazie è stato per il Cielo, e poi l’emozione di incrociare lo sguardo di parenti e amici imbambolati dinanzi a quella meraviglia di Dio. Le notti insonni quando, impotenti dinanzi al nostro pianto, hanno chiesto con le lacrime a Dio il dono della sapienza e della forza. Il primo tentativo di insegnarci a “mandare un bacio a Gesù e alla Madonna” o a farci il segno di croce o a dire le prime preghiere...

Il luogo naturale di Dio è la famiglia, la vostra casa, e se tutte le cose toccate da Dio sono sacre, voi abitate un luogo sacro. Di qui tutta la mia stima, il mio rispetto, la mia devozione.

La vita familiare vista da una prospettiva biblica

Ho provato a girarmi intorno e ho dato uno sguardo alla Bibbia, il libro che ci permette di scoprire le coordinate del cuore di Dio nella sua parola. E anche qui non ho potuto fare a meno di rilevare delle situazioni significative.

Tutto il mistero della nascita di Gesù si gioca in una famiglia: l’angelo si presenta a una giovane, in una casa; Maria è innamorata di un giovane, Giuseppe, che condivide il progetto di Dio sulla sua sposa; poi il parto, non nella propria casa ma ospitati da estranei lontani dalla propria patria.... Insomma, a ben guardare tutta la storia di Gesù viene a dirci che l’unica cosa che Dio sceglie per sé è la famiglia, una casa; e la mamma accompagnerà il Figlio sempre, fin sotto la croce e oltre: la scena ripresa da Michelangelo nella sua Pietà ci dice che neanche la morte può distruggere la relazione genitore/figlio, alla base di ogni esperienza personale.

Nella tradizione ebraica e cristiana si afferma che il cuore della Legge è nel Decalogo, i famosi dieci comandamenti. Ebbene, a me piace far rilevare che tutti i precetti sono al negativo ( non...!) tranne due. Quello riguardante l’osservanza del sabato, delle feste; e quello riguardante il dovere di soccorrere i genitori.

Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha ordinato. Sei giorni lavorerai e farai ogni tua opera, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non farai opera alcuna né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato.

Sono del parere che il comandamento riguardante l’esigenza di far riposare, e quindi di rispettare il giorno di festa, sia rivolto al capofamiglia. Il padre sa che per portare avanti la famiglia bisogna lavorare e dall’esperienza del lavoro impara che il creato gli è stato affidato dal Creatore e che nel “fare” si corre il rischio di assolutizzare il proprio operato e così dimenticare il “fare” del Creatore. L’oblio della memoria è il pericolo da evitare: dimenticare Dio significa dimenticare il nostro essere originati e dimenticare di essere i destinatari di quell’amore misericordioso che neanche i nostri errori riescono a scalfire. Di qui l’esigenza del riposo come spazio per ridire (in primo luogo a noi stessi) che apparteniamo alla famiglia di Dio, che è Lui il Padre e la nostra figliolanza non è un merito che acquisiamo con il nostro lavoro ma è dono intangibile e basta!

Si noti che è il capo famiglia chiamato a “dire” Dio in casa, rispettando il comando del riposo, ed è sempre lui, il padre, chiamato a far rispettare (educare = dare testimonianza) il precetto a tutti quelli che sono nella sua casa: figlio, servi, schiavi, stranieri e... animali!

L’altro comandamento positivo riguarda... il figlio!

Onora tuo padre e tua madre, come il Signore Dio tuo ti ha ordinato, perché la tua vita sia lunga e tu sia felice nel paese che il Signore tuo Dio ti dà.

“Onorare” il padre e la madre significa diverse cose. In primo luogo, prestare ascolto a quello che i genitori dicono, obbedire agli ordini e insegnamenti che essi trasmettono. Il figlio docile “onora” con il suo assenso; il figlio ribelle “disonora” i suoi parenti, disprezzando la loro parola. Tutto questo non vale solo per il figlio giovane, sottoposto anche giuridicamente alla patria potestas; anche da adulto il figlio è “gloria” del padre nella misura in cui non trasgredisce il suo insegnamento. Anzi, lo è soprattutto da adulto, perché liberamente rispetta quello che il genitore gli ha trasmesso.

La tradizione ebraica, specie quella più tardiva, ha sottolineato una modalità molto concreta concernente la pratica di questo comandamento: i figli sono tenuti a sovvenire alle necessità materiali dei genitori, una volta che questi, per vecchiaia o malattia, diventano incapaci di provvedere a sé e al loro sostentamento. In questo caso il genitore non ha più la veste autorevole del pater familias, che concede la libertà ai sottomessi e spezza il pane per i suoi figli, nutrendoli del dono che lui stesso ha ricevuto. Il genitore anziano assume piuttosto la figura del debole e del povero, di colui che chiede, perché nel bisogno. Obbedire al quarto comandamento è allora, per il figlio, ripetere in modo simmetrico quello che il padre ha fatto per lui: ciò che si possiede è un dono ricevuto, per questo lo si deve dare a chi lo aspetta per vivere. Questa legge del rispetto del povero e del debole, posta in modo velato nel cuore del Decalogo ancora una volta ha come sfondo la casa, la famiglia!

È il figlio ora chiamato a vivere il primato di Dio prendendosi cura dei suoi genitori quando questi non sono più in grado di provvedere a se stessi...

Il lettore attento della Scrittura non può non rilevare che nel primo libro della Bibbia ci si trova sempre dinanzi a storie familiari: Adamo ed Eva, Caino e Abele, la storia di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Giuseppe hanno sempre come sfondo la casa e le dinamiche familiari. Adamo arriva a mentire sul suo desiderio di avere un aiuto per scaricare ogni responsabilità su Dio e su Eva ( ah! la responsabilità!); Caino non riesce ad accettare la diversità del fratello e lo fa fuori (ah! l’invidia!); Abramo non esita a spacciare la moglie, molto bella, per sua sorella dinanzi al faraone e in questo modo... pensa di salvarsi la vita (ah! l’opportunismo!) e così via..

Vi rendete conto, da questi pochi esempi, che la situazione che voi vivete è abitata da Dio, costruisce l’avamposto di Dio nella storia e in quanto tale è benedetta da Dio.

La gioia e la fatica di essere coppia

Nondimeno so che grande è la vostra responsabilità e la vostra fatica. Siete chiamati da un lato a cercare di realizzare quelli che sono i sogni della giovinezza, una vita bella, serena, gioiosa; ma sapete d’altro canto di giocarvi tutto nella disponibilità a lasciarvi travolgere dall’amore per vostro marito/moglie che non cessa di sorprendere; siete così preoccupati per i vostri figli da non riuscire a nascondere tutte le ansie che la dimensione educativa suscita in voi.

A questo proposito mi permetto di richiamare alla vostra attenzione un’immagine che può aiutare a vivere la vita familiare in comunione con la famiglia di Nazareth che ora contemplate nel presepe. Anche Maria e Giuseppe hanno cresciuto un figlio! Le ansie e le problematiche della vita familiare sono state quindi vissute, oltre che dai nostri genitori, anche dal papà e dalla mamma di Gesù, che hanno quindi qualcosa da dirci delicatamente, a partire dalla loro esperienza così come ci è narrata da san Luca nel suo Vangelo:

I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua.

Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.

Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Una comunicazione alla pari: dalla famiglia di Nazareth alla nostra casa

Ho immaginato una lettera scritta da Giuseppe e Maria e inviata a voi, genitori, per dirvi come loro hanno affrontato la sfida educativa di un ragazzo... alquanto particolare!

Carissimi amici,

prima di parlare di noi e della nostra vita familiare di un tempo che fu, vogliamo rendervi consapevoli di un tratto della nostra vita di oggi. Conosciamo bene il vostro cuore e sempre preghiamo perché abbiate forza e coraggio e non disperiate dinanzi ai segni che potrebbero farvi pensare a un vostro non essere all’altezza del compito che vi è stato assegnato dalla Provvidenza. Chi vi ha chiamati a questa responsabilità, vi ha anche equipaggiati con doni che vi permetteranno di portare a buon fine l’opera che svolgete. Siatene certi: siete collaboratori del Dio altissimo, che neanche per un istante vi lascerà soli! Eppoi, anche se i vostri figli non hanno avuto ancora il coraggio di dirlo apertamente, sappiate che per loro siete la mamma più bella del mondo e il papà più forte e che per nulla al mondo sarebbero disposti a farne a meno. Siete preziosi per il Creatore così come per le creature a voi donate! Siete genitori in nome e per conto di Dio, ed è a Lui che sempre dovete fare riferimento in ogni concreta circostanza: è Lui il segreto e il senso della vostra avventura familiare.

Quando vi siete sposati avete vissuto il momento più alto della vostra maturità cristiana: accogliendo un altro/a nella vostra vita avete detto pubblicamente di non bastare a voi stessi e di aver bisogno di un altro per dare senso ai vostri giorni. La vostra famiglia, la vostra casa è poggiata su un atto di umiltà che vi nobilita: avete teso la mano per dire il vostro bisogno di amore e avete aperto il cuore per arricchirvi vicendevolmente.

Sin dai primi giorni di vita coniugale avete compreso che l’altro, diverso da voi, comunque costituiva un dono di cui prendersi cura e che il suo risplendere dipendeva dalla vostra disponibilità a far emergere i doni di cui era dotato.

Amare una persona significa essere responsabili del bene dell’altro! E voi lo sapete bene. Quando per poco avete ceduto alla tentazione di “fare i conti”, di “misurare” l’amore siete andati in crisi... una famiglia va avanti se regolata unicamente dalla memoria della voglia di bene che si traduce in entusiasmo sempre nuovo, che permette di vincere il pericolo mortale dell’abitudine e ridice in continuazione il motivo di quel “ io accolgo te...e prometto di esserti fedele sempre, nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia e di onorarti e rispettarti tutti i giorni della mia vita”. Voi, anzi, tutti siamo stati creati per amare e consumare tutto il tempo che ci viene donato per testimoniare la bellezza dell’amore!

Amando è cambiato il modo di guardare il mondo, la vita, le persone; amando, anche il rapporto con il buon Dio è cambiato: ora nelle vostre preghiere chiedete la forza di amare sempre più e sempre meglio, perché sapete che soltanto con l’amore si cambiano i cuori appassionandoli all’unico valore per il quale vale la pena di vivere e che nulla potrà mai distruggere.

Dal Cielo, vi guardiamo, benediciamo i vostri sforzi, accogliamo i vostri sorrisi, asciughiamo le vostre lacrime. Vi siamo vicini, sempre: non dimenticatelo mai! Sempre saremo dalla vostra parte.

Il motivo di questa nostra inusuale lettera è confidarvi qualcosa a proposito di quell’episodio di cui discutevate dinanzi al presepe e che ci ha visti protagonisti a Gerusalemme. Non è stata proprio una bella giornata! Il solo pensiero ancora adesso ci sconvolge. Ci era stato donato un figlio, e che figlio! E lo avevamo perso! Avevamo perso nostro figlio... Non vi auguriamo di provare il senso di desolazione che regnava nei nostri cuori; ma ve ne vogliamo parlare se non altro per confidarvi quel che abbiamo vissuto affinché dalla nostra esperienza voi possiate imparare e fare meglio...

Insieme, noi genitori abbiamo sempre cercato di costruire in casa un’atmosfera di serenità ed eravamo concordi sul tipo di educazione da impartire al nostro piccolo Gesù. Appassionare ai valori, al senso di solidarietà, alla bellezza dell’amicizia, alla generosità... Ci fa un po’ effetto dire queste cose, ma in fondo è vero: quel Gesù che ha sconvolto il mondo ha imparato da noi come si campa sulla faccia della terra! Siamo stati genitori in tutto: abbiamo cresciuto ed educato il nostro figlio cercando di offrirgli tutto l’affetto di cui eravamo capaci e trasmettendogli tutta la nostra passione per la Legge del Signore. Lo portavamo con noi sempre: ogni volta che salivamo a Gerusalemme per il pellegrinaggio, anche lui era con noi. Era diventato un veterano dei santuari già in tenera età. Da piccolo lo tenevamo in braccio, mentre pregavamo per lui; da grandicello, era sempre davanti a noi quando alzavamo lo sguardo al Cielo...

Ad un tratto, quando era ormai in tutto autonomo, successe l’imprevedibile. Ce ne stavamo tornando a Nazareth, e Gesù non era più con noi! Pensavamo fosse in compagnia di qualcun altro, tra i nostri amici: niente. Che figura! Ma più grande della figuraccia fatta dinanzi ai compaesani era il dolore, lo sconcerto, la rabbia! Però poteva pure avvisarci?! E se fosse stato rapito? Agli occhi degli altri apparivamo genitori incoscienti e superficiali, ma soltanto Dio sa di cosa fosse colmo il nostro animo!

Poi la ricerca spasmodica nella confusione di Gerusalemme, e la gioia di poterlo riabbracciare nel tempio, in un’atmosfera surreale: sembrava lui di casa, con tutta quella gente attorno, e noi i veri dispersi, i fuori luogo!

Nei giorni a seguire passammo notti intere a discutere tra noi sull’accaduto. Dove potevamo aver sbagliato? Forse non eravamo stati abbastanza attenti ai sentimenti che il nostro figliolo provava; lo abbiamo sempre considerato troppo piccolo e incapace di autonomia di pensiero? Oppure eravamo troppo preoccupati di noi stessi e del “nostro” pellegrinaggio? Abbiamo considerato tutte le cose ovvie non sapendo cogliere i segni che ci parlavano di un’attenzione particolare di Gesù per determinati ambiti? Non pensavamo mai che nostro figlio potesse sentirsi a proprio agio senza i genitori!

Ecco. Non siamo stati bravi genitori. Non mancava certamente in noi la buona volontà e la comprensione, ma in quell’episodio non siamo stati all’altezza degli eventi.

Non lo diciamo per compiacervi: siamo stati molto male, ci sentivamo dei falliti e basta!

Adesso, però, col senno di poi ci rendiamo conto delle reali coordinate della vicenda. Forse siamo stati ingiusti nel dare un giudizio così tagliente su noi stessi! Ecco, bisogna sempre saper mettere le cose al giusto posto senza mistificare e senza esasperare alcuna situazione. Avevamo sbagliato perché non avevamo saputo cogliere i segni che Gesù con il suo comportamento offriva alla nostra lettura, ma poi ci siamo rimboccati le maniche e... abbiamo continuato a prenderci cura di nostro figlio con passione ancora maggiore, adeguando la nostra premura alla sua voglia di libertà. Sì, educare i figli non è facile, perché ci vuole continua attenzione e pazienza. È più facile guidare un aereo, che educare un figlio! Ecco perché il nostro e il vostro compito è meraviglioso e arduo, ma rientra nelle nostre potenzialità. Educare significa pazientare per amore….e voi di amore ne avete colmo il cuore.

Non lasciatevi scoraggiare dai piccoli fallimenti educativi, sappiate sempre ricominciare, ripartire da voi stessi, che siete la mamma più bella e il papà più forte che Dio potesse donare ai vostri figli!

Dalla Bibbia alla quotidianità: la forza della testimonianza

Sono certo che la meditazione della Scrittura saprà ispirare pensieri e propositi adeguati per ogni situazione. Rischiarare le coscienze è possibile solo nella misura in cui si privilegia la dimensione dell’ascolto e quindi del saper sostare in silenzio dinanzi a Dio. In questo siamo accomunati: voi in quanto genitori e io in quanto cristiano.

Ristabilito quindi il primato di Dio, oso sottoporre alla vostra attenzione alcune mie considerazioni inerenti il nostro camminare insieme.

Anche io sono responsabile educativo. Ma solo dopo di voi o, se volete, con voi.

L’educazione ai valori avviene in famiglia. Le altre agenzie educative sono solo gregarie, di supporto. Niente può sopperire alla vostra opera. E la base, il canale di ogni valore è dato dalla testimonianza! Si insegna con la vita, con l’esempio. Le parole sono accessorie... aiutano a comprendere i fatti, ma non dispensano dall’azione. Le virtù si testimoniano, non si insegnano! Il dono più bello per i vostri figli? Amate vostra moglie, amate il vostro marito!

Vedete, la scuola dell’amore è la famiglia. Se da piccoli si impara ad amare i familiari, da grandi si sarà in grado di amare praticamente tutti: come si fa a vivere di pazienza e perdono se queste dimensioni non le apprendi in famiglia? Quando i genitori praticano le virtù, generosità, perdono, pazienza, è più facile che i figli li seguano. E’ vero, molte volte rischiate di scoraggiarvi perchè i ragazzi non obbediscono, ma siate pur certi che non mancheranno mai di imitarvi!

Il vostro modo di vivere, le vostre scelte, la vostra testimonianza non solo insegnano l’abc della vita ai vostri figli, ma ne fanno comprendere anche lo spessore.

E se questo è vero per la lingua e gli atteggiamenti, ciò è maggiormente evidente per l’educazione ai valori. La passione per le cose belle, la passione per l’amicizia autentica e disinteressata i vostri figli la possono apprendere solo da voi. L’amore per Dio solo se vissuto in famiglia può passare, essere trasmesso ai vostri figli. La scuola, la chiesa possono aiutarvi in questo: ma non sostituirsi a voi!

Di qui il mio appello alla responsabilità: date il meglio di voi stessi ai figli, ma non ponete i valori civili e religiosi all’ultimo posto! Ne va del futuro della società, dei vostri figli e di Dio stesso (per quanto dipende da noi)!

La fede non nasce sulla base di formule apprese al catechismo... che viene troppo tardi e non sempre viene fatto nel migliore dei modi! La fede nasce dalla testimonianza, e solo la testimonianza dei genitori può far capire al figlio che il rapporto con Dio è di fondamentale importanza per la comprensione del senso della vita e del valore di ogni persona e quindi anche del figlio stesso.

Vi prendete cura dei vostri figli accompagnandoli a scuola e verificando il grado di crescita nella cultura, e fate bene; avete scelto attività complementari quali lo sport, la palestra, la danza: tutte dimensioni che dicono della vostra premura per una crescita armonica ed equilibrata, e in questo siete eccezionali. Ma l’educazione della coscienza è fondamentalmente solo nelle vostre mani: appassionare al gusto del vero, del bello, del buono è vostra prerogativa; suggerire stili di vita sani e attenti al valore del creato è lasciato alla vostra premura; inculcare la passione per la sorte dell’altro e insegnare l’arte di amare e di coltivare sane amicizie è affidato al vostro buon cuore; saper riservare uno spazio a Dio, imparare a pregare, a mettere nelle Sue mani le gioie e i dolori della quotidianità è possibile solo se vissuto in prima persona da voi genitori. Si impara ad amare, ad essere educati, ad essere generosi, a pregare, ad andare a messa solo se i grandi amano, sono educati, sono generosi, pregano, vanno a messa...

Essere genitore, pregare e invocare lo Spirito di Dio

Offro a voi l’immagine di Maria e Giuseppe che portano il piccolo Gesù a Gerusalemme: sono loro a camminare e a insegnare la via, loro hanno deciso di sospendere la quotidianità e di fare spazio a dimensioni spirituali, loro hanno deciso di far parte di una carovana uscendo dal rischio di vivere l’autoreferenzialità. Ci vuole coraggio per essere genitori, oggi come ieri.

Per genitori credenti il coraggio si declina come capacità di farsi travolgere dai doni dello Spirito Santo per essere rivestiti dell’armatura che solo il buon Dio può donare. Già, l’equipaggiamento per riuscire nella vita lo possiamo solo invocare ed accoglierlo come dono.

E che non sia questo il motivo del nostro fermarci silenziosi dinanzi alla capanna di Betlemme?

Quante volte abbiamo riflettuto sulla profonda bontà d’animo dei nostri ragazzi, sulla loro disponibilità a farsi travolgere dalla voglia di rendersi utili con gesti di solidarietà e poi abbiamo rilevato che a messa proprio non ci vogliono andare. È per loro una perdita di tempo, noiosa.... Ecco allora l’esigenza di pregare e di invocare il dono dell’intelligenza perché il movimento che orienta tutti i personaggi del presepe verso la capanna diventi anche la forza trainante dei nostri ragazzi. Quel che a noi non riesce è nella Sua possibilità: è Lui che ci ha promesso che attirerà tutti a sè!

Quante volte, noi “grandi”, abbiamo sperimentato di non saper dare risposte convincenti alle domande impertinenti dei nostri piccoli e li abbiamo autorizzati a pensare che quanto riferito loro dagli amici, dalla televisione o dai giornali fosse vero! E così adesso ci troviamo dinanzi a piccoli uomini che sembrano avere una visione del mondo tanto distante dalla nostra. Il qualunquismo, il relativismo morale, la superficialità relazionale hanno trovato terreno fertile nei nostri silenzi imbarazzati... Ecco quindi la voglia di abbassare gli occhi e invocare per noi il dono della scienza, la capacità di saper rendere ragione della speranza che è in noi. Per noi credenti la scienza è la riflessione sull’importanza di avere Gesù di Nazareth come punto di riferimento della nostra vita. Saper leggere nella vita di Cristo il segreto del cuore di Dio è la sfida che ci viene lanciata e si comprende come molte volte l’ignoranza delle scritture sia alla base di tanti nostri silenzi...

Quante volte di fronte a problematiche importanti ci siamo sentiti disarmati e incapaci di scegliere o motivare una scelta. Sempre con la nobile scusa di rispettare la libertà dell’altro! In realtà nascondevamo la nostra incapacità.. A chi ci chiedeva come affrontare una lite familiare, a chi invocava una parola di sostegno per una decisione impegnativa, a chi avrebbe voluto da noi un supporto per scelte coraggiose spesso abbiamo offerto il nostro nulla incartato con stupende performance linguistiche. E poi siamo stati male... Ecco il dono del consiglio, la capacità di saper scegliere bene e per il bene mettendo sempre al primo posto Dio, che interpella qui e ora la nostra disponibilità a uscire dalla provvisorietà e a scommettere tutto su lui. Saper decidere a partire da Dio significa ristabilire sempre un ordine interiore in grado di orientarci nel discernimento della Sua volontà nelle concrete circostanze della vita.

Quante volte abbiamo dovuto fare i conti con un lato di noi stessi che ci ha turbato non poco! Pensavamo di essere abbastanza forti, ma poi abbiamo ceduto alla curiosità di letture oscene, e ce ne vergognamo; o di filmati poco edificanti, e arrossiamo... Ai nostri piccoli diciamo che bisogna perdonare, ma nel nostro cuore non vediamo l’ora di farla pagare a quella vicina insopportabile... Per non parlare di quella situazione familiare legata all’eredità sulla quale non sono per nulla disposto a trovare una via d’uscita.... Ecco il dono del timor di Dio che non significa paura della sua onnipotenza, ma serena consapevolezza del suo amore, della sua benevolenza, del fatto che tutto nella mia vita mi è stato donato e che in tutto il mio tempo devo saper di vivere sotto il suo sguardo, sotto la sua protezione: ogni mia azione, ogni mia scelta deve avere come obiettivo quello di sortire la carezza di Dio, contento del mio povero impegnarmi a vivere di Lui e per Lui ! Cercare di piacere a Dio e compiacere il suo cuore di Padre.

Quante volte abbiamo alzato bandiera bianca! Con persone a noi care, abbandonandoli al proprio destino; con amici, tanto pesanti che per evitare il contagio della depressione abbiamo preferito allontanarli; con i nostri figli, che hanno ottenuto ciò che volevano semplicemente perché ci siamo stancati delle loro lagne... Ecco il dono della fortezza, che a me piace coniugare con la capacità della perseveranza, dello star fermi quando tutti vanno via. È la fedeltà a se stessi, alla propria vocazione, al posto che Dio ci ha assegnato. È la certezza che solo stando dalla parte del Signore anche quando tutto invita a scegliere diversamente dimostro di avere carattere. La fortezza è ciò che mi rende persona unica e irripetibile e mette la mia vita nella totale disponibilità di Dio.

Quante volte siamo caduti nella trappola dell’abitudine e abbiamo perso il gusto del dialogare con Dio!?Non è che non ci credevamo, ma la preghiera ci appariva vuota, inascoltata, inutile. Per non parlare di quel modo poco appagante di partecipare alle varie funzioni, quasi timbrare un tesserino... Anche nella quotidianità man mano il tempo per Dio ha subito un drastico ridimensionamento, ci facciamo il segno di croce al mattino... ma niente di più! Per non dire di quando abbiamo saputo di quel brutto guaio occorso al figlio del nostro amico: allora con Dio son volate parole grosse e Lui è rimasto in silenzio .... come noi adesso! Ecco il dono della pietà! È l’unico rimedio alla sclerosi del cuore. È il saper vivere la gioia di sentirsi sempre accordati con il cuore di Dio, anche nella sofferenza dell’incomprensione delle sue vie, con la sicura consapevolezza che sarà sua premura accordarci forza e fantasia per fare nostra la sua volontà!

Quante volte ci siamo sentiti alieni a noi stessi e agli altri.!? Non riusciamo a farci capire da chi ci sta vicino... Eppure sono tanti anni che stiamo insieme... Anche con gli amici le cose non vanno per il meglio: le nostre posizioni, le nostre proposte creano sempre silenzi imbarazzati... Siamo sempre più soli, spaesati, confusi. Non ci riconosciamo più... Ecco allora il dono della sapienza, che è la capacita di saper gustare gli eventi della nostra vita considerandoli a partire dal fatto di sapere che tutto appartiene a Dio, fa parte del suo tesoro: me stesso, i mie cari, i miei amici, i miei vicini sono il luogo dove Dio ha depositato i suoi beni e a me è data solo la possibilità di scoprirli e di goderne. La sapienza è la capacità di saper guardare il mondo con stupore sempre grande e testimoniare con forza che la vita è un’avventura meravigliosa, grazie a Dio!

A mo’ di conclusione

Quando si va in un supermercato, girando tra gli scaffali ci si rende conto di quante in realtà siano le cose superflue; stando dinanzi al presepe scopriamo sempre più di aver bisogno di ciò che in nessun negozio possiamo acquistare, ma che solo Dio può donare. Come è strano il nostro sostare dinanzi al presepe. Volevamo spiegarlo ai nostri piccoli, e invece sentiamo l’esigenza di fare silenzio perchè abbiamo bisogno noialtri di capire il senso dei nostri giorni e la meta del nostro attraversare il tempo. Contemplare quel bambino nella grotta di Betlemme dapprima ci fa sentire spettatori appassionati di un evento straordinario. Poi,a ben guardare, mettendoci in ascolto, tendendo l’orecchio ci accorgiamo che in quel presepe è detto tutto. In Gesù, il buon Dio ha sposato la causa della nostra salvezza entrando nella condizione di coloro che dovevano essere salvati, si è messo dalla nostra parte offrendoci la possibilità di guardare la sua casa. Quella capanna diventa una testimonianza, un evento educativo. Dio testimonia in prima persona la misura che deve contraddistinguere lo stile del credente: non appartenersi, ma essere tutto dell’altro. È una grande responsabilità essere cristiani.

Si va dinanzi al presepe perché abbiamo tanto da dire a Dio, tanto da spiegare e tanto di cui chiedere spiegazioni; ma si finisce col rimanere in silenzio. Il bambino Gesù non ha da farti domande o prediche; vuole solo che tu lo accolga tra le tue braccia e nel tuo cuore....Lui di te si fida, perché sei la mamma più bella e il papà più forte del mondo!

Buon Natale!

Ultima modifica il Sabato, 31 Gennaio 2015 11:41
Devi effettuare il login per inviare commenti