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Sabato, 26 Gennaio 2019 13:25

don Antonio Giganti, il prete, lo storico, l'intellettuale.

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il 14 gennaio don Antonio Giganti ha chiuso la sua giornata terrena. Qui il ricordo appassionato di Cecchino Lioi.

La notizia della scomparsa di Don Antonio, sacerdote, storico, intellettuale, amico, non ha potuto fare a meno che percorressi come in un lampo tutta intera la sua storia di uomo, di storico, di ricercatore ed esperto paleografo. Ha vissuto con sofferenza e disagio l’ultimo periodo della sua vita, nascondendo sempre il suo stato di salute, sul quale con una punta di ironia e con una battuta di spirito disarmava che gli chiedeva notizie sul suo stato. Aveva sempre un libro da regalare, sottolineando quanto fosse importante il dono di quel libro. Non si preoccupava che il suo lascito storico potesse andare disperso, perché era convinto di aver compiuto una sintesi tra ispirazione cristiana e laicità dell’impegno culturale profuso. Egli sapeva che aveva profuso dignità ed onestà intellettuale nella creazione del Museo Diocesano e dell’opera monumentale che è La Cattedrale di Acerenza nel Medioevo.

Da ragazzo egli ha avuto la guida sicura del fratello maggiore Mons. Donato Giganti. Dopo il Liceo nella Badia di Cavo, completò i suoi studi teologici al Seminario Romano. Gerusalemme gli diede la specializzazione in Scienze bibliche, che doveva spendere con l’insegnamento allo Studio Teologico della Basilicata. La chiusura dello stesso lo costrinse ad emigrare a Bari, ove conseguì la laurea in filosofia ed entrò come docente di Storia medioevale nel Magistero dell’Università. Non ha mai fatto mancare il suo apporto alla vita culturale del suo paese di origine, mantenendo sempre rapporti con tutti. Ha diretto la collana Quaderni lucani di storia e cultura, nei quali ha pubblicato i saggi: Vescovi e società nell’età sveva ad Acerenza; I Sanseverino e la Basilicata tra Svevi e Angioini; Le pergamene dell’Archivio arcivescovile di Acerenza. Fattiva è stata la sua collaborazione al convegno celebratosi a Oppido, negli Atti del quale ha pubblicato Vita religiosa a Oppido nella prima metà del Cinquecento. Nel 2000 ha regalato a Oppido uno studio che apre uno spaccato interessante della storia del paese: La chiesa di Sant’Antuono di Oppido Lucano, saggio ristampato in nuova veste il 2013 con il titolo Le Grotte di Sant’Antuono. Nel volume miscellaneo Francescanesimo in Basilicata di lui si ha: L’esperienza eremitica dei Minoriti in Basilicata. Angelo Clareno e gli Spirituali in Basilicata. Nel 1976 ebbe il Premio Basilicata per la Saggistica Storica Nazionale e Europea con il volume Feudatari e monasteri in Basilicata nell’età angioina. In sintesi il giudizio della Giuria: “Il libro si fonda su una rigorosa ricerca di documentazione inedita ricavata dall’archivio diocesano di Potenza, che raccoglie un prezioso, fondo pergamenaceo derivato da monasteri lucani soppressi, in particolare dal distrutto monastero di S. Nicola in Valle, prersso Francavilla sul Sinni. Le 32 pergamene che l’autore ha raccolto in appendice al volume, sono edite secondo le più rigorose e moderne norme della trascrizione paleografica e diplomatistica e rappresentano un primo approccio al recupero di una documentazione che si auspica sistematico, in vista di un codice diplomatico lucano. Al centro della ricerca si colloca una delle più grandi famiglie feudali del Regno, i Sanseverino: il giudizio corrente della storiografia meridionalistica che indica soprattutto nell’arroganza della feudalità angioina una delle cause maggiori della regressione socio-economica del Meridione, si propone attraverso lìanalisi puntuale del Giganti a una alternativa di valutazione di segno in qualche misura positivo. La signaria monasteriale cistercense di San Nicola in Valle si presenta con una corretta gestione di una vasta azienda agricola. La Giuria riconosce ad Antonio Giganti il merito di percorrere, con attenzione e rigore scientifico, itinerari di ricerca volti a scoprire nel passato le ragioni più profonde delle contraddizioni in cui la Basilicata dibatte i temi della sua attuale condizione”. Dal 2004 al 2013 è stato componente della Giuria di Saggistica del Premio Basilicata e collaboratore della rivista Leukanikà. Ha pubblicato inoltre, I Naibi, Bari 1996; I Cistercensi in Polonia tra Riforma e Controriforma, Casamari 1996; Francavilla nella media valle del Sinni, origine di un microcosmo rurale del sec. XV, Capuano ed. 1997, volume per il quale è stato insignito della cittadinanza onoraria di Francavilla sul Sinni.

Scrivo su don Antonio Giganti a distanza di una settimana dalla sua dipartita, quando l’emozione e il dolore per la perdita di un amico sodale va attenuandosi e rimane il ricordo di tanti momenti trascorsi insieme. Il riandare con la mente nel tempo passato per ricordare momenti di vita trascorsi insieme non solo nelle frequentazioni quotidiane amicale, ma anche in collaborazioni di ricerca e di studio evita la retorica delle celebrazioni e cerca di recuperare il meglio di un sacerdote, di un intellettuale, di uno storico. che come don Giuseppe De Luca, ha speso la sua vita e le sue capacità al sevizio della comunità, dalla quale a volte non aveva il contraccambio. Quale è stata la cifra caratteristica della sua eredità di intellettuale, di storico? Egli è stato testimone responsabile, sensibile e acuto di una stagione feconda fatta di scoperte d’archivio lette con certezza sicura su carte ingiallite dal tempo. Ha profuso impegno etico, qualità estetiche di scrittura nella sua opera principe La Cattedrale di Acerenza nel Medioevo, che rimane la pietra d’angolo per ogni ricerca storica sull’argomento. Il tempo che passa darà la precisa sensazione che si è perduto una guida, un punto fermo che con la sua spesso sarcastica battuta metteva a nudo una realtà cruda, ma vera. La sua natura sostanzialmente eterogenea si estrinsecava in diversi punti di vista: in veste di sacerdote, di storico, di esperto in paleografia e diplomatica, di collezionista di libri antichi e oggetti di archeologia, sempre nelle forme canoniche di quelle idee che erano state la sua scelta di vita fin da ragazzo. Da questo sono scaturite le sue opere migliori: la ponderosa e poderosa opera La Cattedrale di Acerenza nel Medioevo; gli studi si storia medievale pubblicati in libri a più mani, Le Pergamene del Monastero di S. Nicola in Valle di Chiaromonte, Deputazione di Storia patria per la Basilicata, Potenza, 1978; l’ideazione e la creazione del Museo Diocesano di Acerenza con relativo catalogo Il Museo Diocesano di Acerenza, la sistemazione dell’Archivio e della Biblioteca diocesani, istituti culturali diventati sue creature dopo il collocamento in pensione dall’insegnamento di Storia Medioevale nell’Università di Bari. Da studioso ha scandagliato archivi e biblioteche, sempre spinto da una insaziabile curiositas, tanto da essere un punto di riferimento critico quando si vuole tracciare il profilo storico di una diocesi antica , della quale poco si sapeva prima di lui. La vita e l’opera di questo intellettuale e prete diocesano resteranno tra gli eventi più seri e ansiosi della nostra contemporaneità. Non voglio far scaturire i miei sentimenti dalle ragioni più intime del mio animo: amicizia, assidue frequentazioni, parentela. Il mio vuole essere un contributo da leggersi quale consuntivo finale che sancisce il valore di una fedeltà amicale. Quello che egli lascia deve essere ricordato come un patrimonio esemplare per quanti lo conobbero in vita e lo ricorderanno nel tempo. Sua è stata, fin quando non sono intervenuti motivi di salute, la quotidiana responsabilità direttiva del Museo e dell’Archivio, istituzioni culturali che hanno colmato un vuoto nella Diocesi, proprio grazie all’impegno da lui profuso nella realizzazione di un contenitore museale diocesano, il primo nella regione, da considerare memoria narrativa e nello stesso visiva della storia della diocesi. La ricerca storica di Don Antonio ha fatto si che la cultura lucana in generale si riappropriasse dei suoi beni preziosi, ma negletti, ha accreditato un’attitudine alta e benemerita, come dice Sergio Zavoli, nella presentazione stilata per l’opera principe, ad onorare insieme le ragioni della storia e della spiritualità. La pubblicazione de La Cattedrale di Acerenza nel Medioevo ha per base la cifra laica della ricerca scientifica, che si dipana in forma agile, chiara, a volte, discorsiva.

più che doveroso ricordare una figura di ta le levatura intellettuale , è essenziale perché solo così è possibile comprendere quanto la regione che è stata l’ambito delle sue ricerche gli deve, quanto profondamente egli ha mosso un territorio, l’Altobradano, restio ad indagare sul suo passato.

Ultima modifica il Sabato, 26 Gennaio 2019 22:57
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