Sabato, 17 Gennaio 2015 20:24

Essere prete oggi

Scritto da

Relazione in occasione della visita pastorale

Eccellenza reverendissima, carissimi amici,

non nascondo che è con un certo imbarazzo e non senza difficoltà che mi accingo a relazionare sulla parrocchia. E anticipo sin da subito che andrà deluso chi si aspetta una mia presentazione sintetica ed esaustiva dei dinamismi sociali, antropologici, ecclesiali che pur segnano la nostra quotidianità. Ho provato ad immaginare Gesù alle prese con una relazione da scrivere al Padre sulla situazione di Nazareth o di Cafarnao o di Betania o di Gerusalemme. Sono certo che avrebbe invitato ad aspettare…. la parusia!

In realtà si può relazionare solo su ciò che si vede “da lontano” nel tempo e nello spazio. Personalmente posso soltanto raccontare, narrare il mio tentativo di colorare di fede i giorni che mi vengono donati di vivere insieme con una comunità ugualmente segnata dalla passione per Cristo. Sono parte in causa: posso quindi solo tentare di raccontare, accettando come prospettiva il limite mio personale e quello intrinseco ad una realtà non statica, ma in divenire.

Sono andato alla ricerca di modelli biblici; ma non sono stato fortunato, almeno apparentemente. Il settenario delle lettere dell’apocalisse rappresentano un’esauriente griglia di lettura per la valutazione del vissuto religioso…ma vi traspare tutta l’autorevolezza del mittente, con il quale non oserei mai paragonarmi…

Mi è sembrato più confacente al mio status la situazione di Tiberiade, quando Gesù incontra Pietro fuggito in seguito alla crocifissione e lo interroga sulla sua capacità di amare. Sono convinto che quella è l’unica relazione che ci verrà richiesta alla fine della nostra vita e che scriviamo giorno dopo giorno al cospetto di Dio e dei fratelli. E mi verrebbe da chiudere subito con un secco ed esauriente “ voi sapete tutto”.

Se la parrocchia, come ogni comunità, rappresenta il corpo di Cristo, la sua concretezza relazionale, l’unica cosa che posso fare è cercare di rendere ragione della mia capacità di amare Cristo qui e ora con tutto il peso dei miei limiti, riconoscendolo nel volto di chi interpella la mia disponibilità a servire e lasciandomi travolgere dalla passione per il possibile.

Ecco perché le prime cose che sento l’esigenza di dire sono la gratitudine e la richiesta di perdono.

Anzitutto ringrazio Dio, e Lui sa per cosa; il Vescovo, che ha avuto fiducia in me;  quanti hanno collaborato e collaborano per rendere il clima parrocchiale sereno e gioioso, nonostante le piccole difficoltà che la quotidianità riserva. La benevolenza donatami “a prescindere” mi fanno sentire già in debito nei confronti di chiunque. E spero di non sciupare le occasioni che la Provvidenza vorrà donare per significare con i fatti a tutti la mia gratitudine.

Così ugualmente chiedo perdono a Dio per la povertà della mia fede; a tutti coloro che non ho saputo accogliere, amare e servire nelle loro esigenze; a quanti non ho saputo dedicare tempo e a quelli che ho offeso con il mio comportamento o con la mia incoerenza. Anche il mio cammino di conversione è lungo e in salita e per questo vi chiedo ancora pazienza e preghiere.

Dicevo che la categoria unificante la comprensione della parrocchia è quella dell’amore. E voi sapete che un amore può essere rovinato o distrutto solo da interferenze esterne o fuori luogo. Cfr Eva ed Adamo

San Gregorio Magno aveva come sua regola la massima Omnia videre, multa dissimulare, pauca corrigere. Bene, allora mi sembra questa l’occasione giusta per chiedere scusa per tutte quelle volte che non ho saputo ammortizzare nella carità certe gratuite intromissioni poco rispettose del cammino di crescita nell’amore che contraddistingue il rapporto tra il parroco e la comunità affidatagli.

1. Il confronto con Cristo

Per noi cristiani centrale è la memoria della Pasqua. La domenica è il segno della fedeltà di Dio che torna a visitare il suo popolo. Il tempio per me è la domenica, il tempo sacro. Fare la domenica significa restare nella Pasqua e incontrare il Risorto. Gli antichi cristiani ripetevano convinti questa affermazione: “ senza la domenica non possiamo vivere” ossia, “ non possiamo vivere senza incontrare il Signore”. La domenica è stata e sarà il giorno degli amanti, il giorno della visibilità dell’amore, il giorno dell’incontro personale e comunitario con il crocifisso risorto. Favorire l’incontro con il Dio di Gesù Cristo mettendo al centro la celebrazione domenicale è il cuore dell’attività parrocchiale. Restare nella domenica è il segreto per rendere più fruttuosi i giorni della settimana e più entusiasmante la quotidianità. Non c’è per me preoccupazione più grande e finalità più significativa della domenica. Non ha senso organizzare o vivere momenti settimanalmente rilevanti e poi snobbare o ridurre a ferialità la domenica. Significa snaturare il tempo. Se la vita parrocchiale in tutte le sue varianti non converge sulla domenica, significa trovarsi di fronte ad un indicatore del lavoro che indubbiamente con fiducia bisogna intraprendere. La vita di fede così come quella relazionale non vive di estemporaneità o sentimentalismi o formalismi elementi tipici del vuoto spinto proprio di ogni protagonismo inconcludente.

Senza nulla togliere al buon Dio che ha sempre la possibilità di sconvolgere i nostri pensieri con le sue sorprese, ho poi individuato nella parabola del seminatore del vangelo di Marco una valida griglia di lettura di ogni esperienza comunitaria. Vorrei sinteticamente appuntare alcuni tratti che emergono dal testo per poi gettare luce sul nostro stare insieme nel nome di Cristo.

•  Anzitutto il contesto. Perché Gesù ha raccontato questa parabola? Gli esperti di sacra Scrittura sono concordi nel rilevare che la parabola è stata usata da Gesù in un momento di crisi. Dopo una prima ondata di entusiasmo, perché attirata da segni strepitosi, la gente si tira indietro quando si tratta di venire al dunque e non mancano amare costatazioni di Cristo: “... questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me » (Mc 7, 6).

Questa pagina del vangelo quindi viene proposta all’inizio quasi della narrazione di Marco proprio per educare il discepolo a guardare le situazioni con gli occhi di Dio, senza farsi sorprendere da quanto potrebbe accadere nella quotidianità.

•  La risposta di Gesù è un invito a mettere i piedi per terra e a tener presente l’ambiente nel quale si opera. Anzitutto il mistero di tutto quanto rientra nella sfera della fede e della crescita nella familiarità con il Signore (perchè di questo in fondo si tratta) non può essere compreso con la categoria dell’efficienza. La comunità cristiana non è un’azienda ove si pongono in atto degli interventi e si valutano i risultati per vedere se si è in attivo o in passivo, non si può adottare la logica del rapporto costi/benefici… La chiesa è il luogo della proposta schietta e appassionata della familiarità con Cristo come criterio per colorare tutti i nostri giorni. E proprio perché “proposta” può non essere accettata, o trascurata, o poco considerata o respinta.

Quante volte andiamo in crisi a causa della esiguità di risultati! La parabola ci offre un modo diverso di vedere le cose fondando la fiducia in Dio (il seme è buono) e il rispetto della libertà personale.

•  Man mano poi Gesù introduce il credente a considerare gli ostacoli che rendono difficile il cammino. In primo luogo vi è la menzione di Satana, che viene e toglie la parola seminata. Nei vangeli si insiste sulla presenza di Satana nella vita di Cristo sin dal suo apparire sulla scena della storia. Sarebbe stupido non considerare la sua presenza nella vita della comunità cristiana. Mania di grandezza, voglia di potere, ricerca di ricchezza sono segni che dicono del successo di satana nella vita del credente che si dovrebbe contraddistinguere per umiltà, per spirito di servizio, per generosa povertà.

•  Il seme senza radici invita a riflettere sull’essenza del nostro dirci cristiani: crediamo perchè così fan tutti, perchè ci conviene o perché siamo realmente radicati in Cristo?

Se si ama veramente una persona, non ci si riesce ad abituare alla persona amata. La novità di vita del credente ha il suo fondamento proprio nell’aver posto il centro del proprio essere nella voglia di vivere di Cristo, di imitarlo, di renderlo presente. Quante volte pensiamo di proporre Cristo, e invece proponiamo noi stessi contrabbandandoci per Cristo.

Chi ama si spende per la persona amata: è disposto persino a morire! Chi non ama e vuol farsi vedere “legato” ad una certa persona lo fa esclusivamente per convenienza, per tornaconto personale, ma non ci tiene assolutamente ad una vera familiarità con il Signore.

Siamo invitati a fare i conti con il rischio dell’incoerenza. Chi crede veramente può star male nel vedere nella comunità atteggiamenti che nulla hanno a che fare con Gesù di Nazareth. Personalmente ritengo che sia doveroso richiamare con il proprio comportamento a uno stile più consono con gli enunciati evangelici senza la pretesa di giudicare il fratello. Se educare significa pazientare per amore, bene allora è con i fatti che dobbiamo dire il nostro essere ancorati a Cristo e non con le chiacchiere. Il primato è quindi da riconoscere alla testimonianza, ad una testimonianza istruttiva.

•  A soffocare la vita cristiana, infine, è la preoccupazione di guadagnare stima, spazio nella vita degli altri, soldi per poter essere indipendenti dagli altri. Chi è preoccupato di sé e del proprio futuro non avrà mai lo sguardo giusto sul prossimo. Quante volte il Signore ci ha messi in guardia contro la voglia di farci artefici del nostro futuro... Sia personalmente sia come comunità dobbiamo saper vivere di Cristo, mettendo il poco a disposizione nelle sue mani, perchè possa operare il miracolo. E il miracolo più bello, che viene ripetuto ogni giorno è quello della fede di quanti si lasciano portare per mano da Dio, illuminati dalla sua Parola e sorretti dalla sua Grazia.

•  Ovviamente è emblematica la figura del seminatore. E non del seminatore “umano”, ma di quello della parabola. Un agricoltore è attento quando sparge la semente: non si permette il lusso di farla andare lungo la strada, o tra i sassi o dove la terra non è preparata! Il seminatore della parabola è davvero strano: unica sua preoccupazione è spargere la “sua” semente con generosità…. tanto il seme darà comunque un rendimento che non si è mai visto! E’ un affermare solennemente che Dio semina la “sua” parola, il terreno non è sempre favorevole, ma il successo della semina sarà completo.

2. Guardare all’oggi da credenti.

Questa pagina del vangelo ha il pregio di aiutare continuamente a guardare in faccia la chiesa senza far perdere la fiducia in Dio. Spesso, guardare alle nostre comunità significa in primo luogo rimanere colpiti dalle incoerenze o dai limiti degli uomini di chiesa o dal basso livello di conversione raggiunto. Come è diverso guardare alla nostra comunità a partire da quel “il seminatore uscì a seminare la sua semente..”: ogni giorno Dio continua a seminare sulle spine, sul terreno sassoso, sulla strada la “sua” semente. Sorge spontanea la domanda sulla ragionevolezza di un simile atteggiamento: ha senso seminare sulle spine, sul terreno sassoso, sulla strada? Nel caso del terreno e della semina non sarebbe ragionevole; nel caso delle anime invece questo è l’unico atteggiamento consentito a Dio! Il terreno sassoso rimarrà sempre tale, l’animo umano può cambiare! E’ questo il fondamento della speranza e dell’impegno di ogni giorno.

A me piace pensare alla parrocchia come al “campo di Dio” o alla “fontana del villaggio”. Il mio ruolo e la mia presenza acquistano un significato a dir poco “liberante”. Non mi sento padrone di niente, né maestro di alcuno.

E’ bello sapere che niente e nessuno mi appartiene, ma che tutto è di Dio. E se il lavoro di Dio è prendersi cura di ogni singola anima, di ogni singola persona disseminando con generosità quanto è di “sua” appartenenza, ciò significa che come credente non posso sentirmi dispensato dal prendermi cura e appassionarmi alla crescita gioiosa di quanto Dio stesso ha posto nel cuore di ogni persona. E in tutto questo senza lasciarmi condizionare dai risultati, o da antipatie e simpatie, o da interessi di qualsiasi sorta.

Rileggere la parabola ogni tanto è come farsi il vaccino o sottoporsi a cure intensive in vista di probabili difficoltà. Per natura non sono né pessimista né ottimista; mi piace pensarmi cristianamente realista. Anche nel nostro piccolo corriamo il rischio di soccombere alle lusinghe dell’antagonista di Dio. Il rischio di adagiarci, di rinviare, di farci prendere dallo scoraggiamento, di arrenderci di fronte alle difficoltà; il rischio di distogliere lo sguardo da Cristo crocifisso, di sostituirci a Dio, di pensarci indispensabili per andare avanti; il rischio di servirci di Cristo per crescere personalmente; il rischio di servirci della chiesa per campare dignitosamente.

4. Le coordinate

Consentitemi ora di puntualizzare alcuni aspetti che mi sono sforzato, nonostante i miei limiti, di osservare nel mio vivere la fede in mezzo a voi. Sono semplicemente affascinato dall’idea di una comunità parrocchiale capace di crescere valorizzando i carismi in essa presenti. Il sacerdote non è il factotum! Né sa fare bene tutto! E’ la comunità cristiana che si rende protagonista nell’annuncio, nella testimonianza e nella lode. La catechesi, la carità e la liturgia ci devono vedere tutti responsabili, ognuno per la sua parte.

•  Gratuità. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Pensare al mio essere sacerdote come a una funzione è mortificante. Sarò sacerdote per sempre, anche quando non sarò più parroco e non avrò alcun incarico da espletare e anche quando sarò morto. Ed è quel “per sempre” che riafferma la priorità della premura di Dio sui suoi ministri e che dispensa anzi impedisce, pena l’alterazione dei rapporti, ogni forma di preoccupazione per il presente. Non possiamo dire di credere in Dio, di affidarci a Lui e poi darci da fare per… Un sereno e corretto rapporto con i beni della terra così come una pacifico e netto distacco da ogni dimensione di “mercato” all’interno della comunità sono l’elemento ossigenante l’ambiente parrocchiale.

Ho già detto con chiarezza e ribadisco che personalmente ritengo moralmente ingiusto pagare per i sacramenti e sacramentali. Parlare di diritti di stola (bianca o nera) mi turba! E ciò fondamentalmente per due motivi : 1) se i sacramenti sono segni efficaci dell’amore di Dio, sono gratuiti per natura! Così come sono gratuiti tutti i segni di amore! Altrimenti sarebbero “prestazioni”, e ciò è fuorviante. 2) quando un sacerdote amministra un sacramento o presiede la celebrazione, in primo luogo prega: mi farebbe un po’ senso pensare che il mio pregare sarà remunerato…. Ecco perché mi sento mortificato se qualcuno viene a “pagare” la messa o un funerale o un battesimo o un matrimonio. A me nulla è dovuto, se non il piacere e la gioia di camminare insieme in compagnia del Risorto. Ben differente è la sollecitudine di tutta la comunità che si fa carico delle spese legate alle utenze e alle attività della parrocchia.

•  Parrocchialità. Ogni aspetto della vita comunitaria dovrà avere il suo momento di riflessione all’interno del Consiglio Pastorale, composto in primis dai catechisti, dai responsabili della carità e della liturgia, nonché dai rappresentanti dei vari movimenti e associazioni presenti in parrocchia. La parrocchia non è il prete né tantomeno chi pensa di essere vicino al prete. Sono particolarmente allergico a tutte le forme di protagonismo e quindi sopporto malvolentieri ogni atteggiamento da prima donna. Vi chiedo sin d’ora perdono per tutte le volte che non sarò “educato” nel richiamare ad uno stile “familiare”. E questo perché per me la parrocchia è l’insieme dei familiari di Cristo, chiamati a vivere in un luogo sereno e dignitoso, capace di fraternità, in cui sia possibile vivere nella libertà spirituale testimoniando la gioia. E’ un qualcosa che mi sta profondamente a cuore, lo propongo e lo proporrò con passione senza la pretesa di cambiare le persone o atteggiamenti consolidati nel tempo. Alle sconfitte sono abituato, ma non rassegnato.

•  Primato della Parola. Se la Scrittura è la lettera di Dio inviata ad ogni credente, allora la scoperta del cuore di Dio nella parola di Dio diventa la differenza specifica tra una comunità cristiana e una qualsiasi altra realtà. Tutto quello che facciamo o viviamo deve avere nella Bibbia il suo fondamento e le sue motivazioni. Questo include la fatica della riflessione e il coraggio del sapersi far mettere in crisi dalla Parola. Ma è l’unico modo per non cadere nel rischio di crearci una religione a nostro uso e consumo.

•  La carità

“I poveri li avete sempre con voi”. Questa è la sfida che ci viene lanciata ogni giorno.

Ben vengano i gesti di attenzione verso tutte le situazioni di povertà presenti in ogni angolo della terra. Ma per non cadere nel rischio della filantropia o di una carità “pulita” dobbiamo sforzarci di aprire gli occhi intorno a noi e affrontare senza mezzi termini tutte quelle situazioni ove è richiesta la nostra vicinanza e il nostro coinvolgimento.

Degrado familiare, disagio sociale, devianze giovanili ci circondano; solitudine esistenziale, scoraggiamento, sfiducia nel futuro sono il vestito quotidiano di tante persone; povertà materiale, mancanza di lavoro, malattia affliggono tanti nostri vicini di casa.

E’ necessario, inoltre, vivere la carità senza finzioni. Si dona ciò che ci appartiene e non ciò che appartiene ad altri! Il poco a disposizione offerto con generosità è segno di fede. Con i nostri piccoli gesti non cambieremo le situazioni, ma diremo nella quotidianità la compassione di Dio per ogni persona prescindendo da ogni calcolo. Non è questa la misura dell’amore cristiano?

•  La trasparenza amministrativa

Concretamente la parrocchia non gestisce alcuna attività economica, se non le erogazioni liberali o questue volgarmente dette. La figura del CPAE strettamente detta di fatto non esiste: le bollette bisogna pagarle e basta così come la carità va operata con il poco a disposizione qui e ora. Questo non toglie il fatto che la parrocchia debba essere modello di trasparenza amministrativa. Ecco perché nella redazione del bilancio sono i principi della contabilità civile che vengono rispettati e le poste segnate vengono controllate da una esperta del settore, a garanzia del fatto che almeno una persona fa le pulci alle scritture contabili con professionalità. Diverso è invece il ruolo del Comitato Feste, ove la discrepanza tra diritto e realtà è in fase di soluzione. Con decisione e coraggio, suscitando anche qualche mal di pancia, parole come trasparenza e legalità non sono più estranee al nostro vissuto parrocchiale che ormai vive la gestione delle feste religiose con lo spirito di chi si sente di essere chiamato a dire anche attraverso la festa la centralità del mistero di Cristo. Certo, non siamo al tempo di Neemia…

Le prospettive che si aprono non potranno prescindere dalla via ormai tracciata.

•  Particolare attenzione ai giovani.

Molti con delicatezza mi hanno fatto notare che mi occupo “solo” dei giovani. Volesse il cielo fosse così! Il problema è che neanche dei giovani riesco ad occuparmi come dovrei!

Il catechismo vede la collaborazione generosa ed entusiasta di tanti che, con passione e competenza, contribuiscono alla crescita nella fede dei nostri ragazzi. In questa fase mi sembra opportuno insistere sulla cultura della santità. Mi sembra superfluo rilevare però il rischio che si corre nel considerare l’ora di catechismo come necessario tributo da pagare in vista dei sacramenti. Possiamo fare di più e meglio, ma come parrocchia non riusciremo mai a sostituirci al compito dei genitori che sono e rimangono i primi educatori nella fede dei loro figli. Una più stretta interazione con le famiglie è quindi auspicabile.

A livello giovanile …. Dobbiamo lavorare e molto inventandoci ogni cosa pur di accompagnare i giovani nella difficile fase della crescita proponendo il Dio di Gesù Cristo come l’unica valida risposta alla loro ricerca di senso. Non dobbiamo essere invadenti né dobbiamo guardarli dalla finestra. E’ inutile stare a discutere sulle devianze presenti nel nostro tessuto sociale. Quando il medico consulta il libro, il paziente muore… recita un vecchio adagio. Ogni agenzia educativa sa di poter operare contribuendo alla crescita sociale. Noi, come chiesa non possiamo fare altro che educare le coscienze proponendo la persona di Gesù Cristo come compagno di viaggio. Questo e niente altro.

Dobbiamo chiedere a Dio di aiutarci ad entrare nella vita dei giovani in punta di piedi, con delicatezza per appassionarli al bello e al vero, a ciò che è buono e utile. “L’educazione è opera del cuore, - scriveva san Giovanni Bosco-, e Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte e non ce ne mette in mano le chiavi.” Educare al senso di Dio, abituare a vivere in amicizia con Lui, significa formare credenti che poi da grandi profumeranno di Dio.

Si comprende facilmente che la strada da percorrere è tanta. Non manca la buona volontà e, cosa più importante, la fiducia in Dio.

Eccellenza reverendissima, poco meno di 5 anni fa e precisamente dopo pochi giorni dal mio ingresso in parrocchia, a Rifreddo, Le dissi due cose

  1. Non aspettarsi nessun invito ufficiale da me per venire in parrocchia. Tutti i momenti sono buoni per donarci la sua presenza, sempre segno della sua premura e sollecitudine;
  2. Non considerare valida per me la norma CEI che tutela il parroco per un determinato lasso di tempo. Sono e sarò sempre pronto a liberare il campo anche solo con un cenno.

Dicevo all’inizio che la presenza del sacerdote in una parrocchia è comprensibile e giustificata solo a partire dall’amore. Non è una professione, non un mestiere, non un lavoro: il presbitero può soltanto amare e basta. E non è con le belle parole che si educa all’amore, urge la testimonianza. Qualora Eccellenza dovesse avere solo dei dubbi sulla bontà della mia testimonianza, non esiti a donare a questa comunità una guida secondo il cuore di Cristo. In caso contrario, non Le rimane altro che guidare e pregare per la crescita di Cristo in ognuno di noi.

Ultima modifica il Domenica, 28 Agosto 2016 20:23
Devi effettuare il login per inviare commenti