Lunedì, 09 Luglio 2018 09:25

L'entusiasmo e la malinconia del camminatore

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Interessante articolo di Pablo D'Ors apparso su Vita e Pensiero Plus nr 19

Dai 42 ai 49 anni ho camminato molto: non solo da Somport a Santiago de Compostela ma anche da monastero a monastero nella penisola di Athos, varie volte attraverso il Sahara e per i monti madrileni; e per la mia città, ma questo è ovvio, che fosse per andare a casa dal lavoro, oppure vagare per il centro, attività cui sono stato sempre molto affezionato.

È chiaro, camminare per me non era semplicemente spostarmi da un luogo all’altro. Nel cammino, c’erano fermate, momenti in cui riprendevo le forze e contemplavo il paesaggio. La quiete era per me il premio al movimento e il movimento, alla fine, il premio alla quiete. In questo modo, mi premiavo sempre.

Ogni volta che mettevo uno zaino sulle spalle– o anche senza, ma sempre camminando –, quello che mi preoccupava iniziava a sparire e nasceva, invece, un nuovo io meno ossessionato dal pensiero e più aperto alla percezione. Per questo non ho mai permesso che i miei doveri o le mie responsabilità mi impedissero di camminare. Non c’è da meravigliarsi: senza tempo per se stessi è impossibile dedicare del buon tempo agli altri.


A causa di una prolungata e dolorosa lombalgia ho dovuto interrompere le mie camminate, e come c’era da aspettarsi il mio spirito ne ha risentito. Ho cominciato con la ginnastica, certo; ma non è comparabile al cammino. Mentre camminavo avevo la sensazione che il mondo mi si offrisse in tutte le sue splendide forme percepibili. Adesso, ancora lontano dalla vecchiaia, devo accontentarmi di ricorrere alla memoria e all’immaginazione.

Non potendo camminare non so per quanto tempo potrò continuare a essere uno scrittore. Può sembrare esagerato, però lo scrittore per me è una combinazione tra l’archetipo del monaco e quello del pellegrino. Per questo, quando parlo con qualche giovane, il mio principale e a volte unico consiglio è che viaggi a piedi ogni volta che possa, prima che arrivino gli anni e gli acciacchi.

Devo confessarvi che tutti i viaggiatori del mondo sono miei amici.C’è tra noi, in particolare tra i camminatori, una fraternità stretta e misteriosa. Io mi sento fratello di quei grandi camminatori che furono, per esempio, Stevenson, Walser o Rousseau. Anche Heinrich Harrer, David Le Breton o Thoreau, di cui ho letto i diari con una strana impressione: mi sembravano miei. A cinquantaquattro anni mi dispiace solo di una cosa, non aver camminato di più. Posso ancora viaggiare, chiaro; ma non più camminare. Non è lo stesso: la gioia del viaggio a piedi non me lo dà nessun mezzo di locomozione e questo mi riempie di malinconia.

Se la condizione umana è essere di passaggio, come può sorprendere che il camminatore simbolizzi come nessun altro archetipo la nostra condizione umana? Quando parto per un viaggio ricordo a me stesso che un giorno ne inizierò un altro, grande, questa volta senza ritorno, verso un paese sconosciuto ma in cui credo. Camminando ho una meta e una direzione; c’è qualcosa che lascio dietro e qualcosa che mi aspetta davanti. Vivere la vita in quel modo, con una meta e una direzione, con un passato e un futuro, è quello che gli dà un significato.

Per le strade posso perdermi, come nella vita. Per le strade possono assaltarmi i banditi o gli animali, come nella vita. Per le strade mi può sorprendere la notte. Come nella vita. Camminare, per questo, è imparare. E per questo ho tenuto quasi sempre un diario dei miei viaggi. Posso consultarlo in qualsiasi momento e in ogni pagina mi assalta allora, come un miracolo, un ricordo o una immagine.

Non c’è scuola di meditazione che non includa la gioiosa disciplina del camminare. Di fatto, quasi tutte le mie speranze le ho stabilite camminando. È talmente vero che credo sinceramente che se non avessi camminato non sarei un uomo pieno di speranza. C’è qualcosa di speciale nel camminare, forse quell’andare avanti che alimenta la speranza di risolvere il conflitto che ci turba.

Il mio consiglio per coloro che si sentono tristi è di camminare, abbandonarsi alla camminata e al cammino stesso. Nel cammino, o ti dimentichi di te stesso, cosa che è sempre liberatoria, o cerchi dentro di te una nuova prospettiva, tanto spesso insolita e liberatrice. Il pensiero che si genera nel camminatore, in più, è vago e rilassato dato che il camminare, se ti ci affidi, lascia che il mondo penetri in te. Questa ricettività pura, l’accoglienza disinteressata, questo apostolato naturale, si potrebbe dire, è tutto ciò che desideriamo e che siamo soliti cercare, maldestri e impazienti, nei libri.

 

Pablo d'Ors

Pablo d’Ors (1963) nasce a Madrid da una famiglia di artisti e scrittori. Discepolo del monaco e teologo Elmar Salmann, è sacerdote cattolico dal 1991. Cercando il silenzio ha raggiunto a piedi in pellegrinaggio Santiago de Compostela, ha attraversato il deserto del Sahara, ha soggiornato sul monte Athos. Nel 2014 ha fondato l’associazione Amici del Deserto, con cui condivide l’avventura della meditazione. Nello stesso anno papa Francesco lo ha nominato consultore del Pontificio Consiglio della Cultura.
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