Giovedì, 22 Febbraio 2018 09:54

Il futuro dei giovani

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In vista del Sinodo dei Giovani 2018 riportiamo il contributo del Vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla apparso su Rivista del Clero Italiano febb 2018. Rimaniamo a disposizione degli aventi diritto per l'immediata rimozione dal sito

Il prossimo Sinodo dei giovani si terrà nell’ottobre di quest’anno 2018, con il tema: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Il Papa vuole che questo Sinodo dei Vescovi non sia solo sui giovani, ma con e dei giovani. Essi sono veramente accolti nelle comunità cristiane e nella stessa società, se non sono soltanto destinatari dei nostri pensieri e interventi, ma se li rendiamo protagonisti del loro domani.

Le riflessioni che propongo seguono una semplice traccia. La stra- da per crescere verso l’età adulta della vita e della fede è come un esodo, un’uscita dall’Egitto per entrare nella terra promessa passando attraverso il mare e il deserto. Uscire da – passare per – entrare in sono i tre momenti del cammino dell’esodo. Uscire dalla prima casa, passare attraverso il deserto, per entrare nella casa del futuro: questa è l’avventura con cui si genera alla vita in formato grande. In essa si trova tutta la bellezza del generare, ma anche i pericoli e le tentazioni dell’attraversamento del deserto meraviglioso e spaventoso per crescere nel mondo d’oggi.
Uscire-da: la scommessa della trasmissione
Il primo momento del cammino dell’esodo è uscire dall’Egitto. È la partenza dalla terra di schiavitù. Oggi non si può dire che questa ter- ra, il grembo familiare e la condizione dell’infanzia, sia una terra di schiavitù. È piuttosto il tempo del sogno e le nostre famiglie hanno intronizzato nelle loro case il ‘re-bambino’. È un re che si trova così bene nella famiglia che, una volta diventato adolescente e giovane, fatica a uscire di casa per diventare grande. Certo la prima età della vita è un tempo di minorità. L’affrancamento dai bisogni infantili contiene la scommessa della trasmissione delle forme pratiche della vita e della fede.
Oggi fatichiamo a trasmettere le due esperienze fondamentali: che la vita è buona e merita fiducia, che il bene della vita va speso crescen- do nella responsabilità. La madre trasmette la fiducia, il padre trasmette la responsabilità. Il buon legame tra marito e moglie trasmette l’armonia tra fiducia e responsabilità, tra piacere e impegno, tra bontà e generosità, tra custodia dell’identità personale e rischio dell’apertura alla società. Pensare agli adolescenti e ai giovani oggi vuol dire anzi- tutto restituire alla famiglia la sua vocazione di grembo generante, che non dona solo la vita, ma le dona anche la voglia di vivere, di rischiare, di slanciarsi nel mondo, che non riempie i ragazzi solo di beni, ma gli insegna a rischiare, gli dona il gusto e la curiosità di capire, di fare, di amare, di donarsi.
Uscire-da: questa prima azione è rischiosa come l’uscita dal grembo della madre, che genera i timori e i dolori del parto. Essa si ripresenta quando il figlio diventa adolescente, perché ci fa sentire le doglie del piccolo che cambia sotto il nostro sguardo, che non è più come lo sognavamo, ma diventa ciò che vuole essere. Con tutti i pericoli e le tentazioni che ne conseguono. Per questo l’uscire-da è un esse- re ‘tirati fuori’, come dice il libro dell’Esodo riferendosi all’azione di Dio: «Sono sceso [...] per tirarlo fuori da questa terra per farlo salire verso una terra bella e spaziosa, dove scorrono latte e miele» (Es 3,8). Uscire è in realtà un ‘far uscire’, un ‘trarre fuori’, come si è tirati fuori dal grembo materno, quando si nasce. Non è un’iniziativa propria, ma un evento in cui altri devono scendere come Dio stesso che ci viene incontro e ci soccorre.
Vorrei spezzare una lancia a favore del compito dell’educazione: educare è tirar fuori la libertà, ma questa è un’opera di liberazione dai fantasmi dell’Egitto, dal paese dove si ricevono tutti i beni (la casa, la carne, le cipolle, ecc.) al prezzo della dipendenza e della soggezione. L’educazione è diventato un compito arduo nella nostra società com- plessa. I genitori non hanno tempo perché lavorano entrambi, i nonni li sostituiscono magari concedendo ai nipoti ciò che non avevano dato ai loro figli, gli educatori e gli insegnanti non ricevono molta stima sociale, l’alleanza educativa tra famiglia e scuola è debole, il rapporto della famiglia con la comunità è spesso utilitaristico.
Tutti insieme siamo chiamati all’opera di costruire nei figli il patri- monio dell’umanità di domani: diamo meno cose e più valori, donia- mo meno beni e più tempo, concediamo meno possibilità e regaliamo più presenza. Il ragazzo, e poi soprattutto l’adolescente, ha bisogno di adulti presenti, affidabili, pazienti, stimolanti, tonici, creativi, affascinanti, persuasivi. Per ‘tirar fuori’ dalla loro vita una libertà solida hanno bisogno di faticare, rischiare, sperimentare, lavorare, confrontarsi, imparare, attendere, donare, spendersi, essere generosi.
La crescita è un esercizio di iniziazione alle forme pratiche della vita: questa è la sfida. La nostra generazione postbellica ha risparmiato alla generazione di fine Novecento il rischio e la fatica che ci aveva fatto crescere cercando nuove possibilità per tutti; la nuova generazione si dibatte in infinite opportunità ed è come paralizzata nelle scelte che contano. È come se stesse dentro a una rotonda con tante strade, continua a girare in essa, ma non prende nessuna strada perché la escluderebbe dalle altre. Per questo i giovani hanno bisogno di adulti autorevoli e rassicuranti, i quali insegnino che scegliere è crescere, trovare la propria strada, mettere alla prova le proprie capacità, confrontarsi con nuovi scenari, ecc.
Passare-per: il rischio della prova
Il secondo momento del cammino dell’esodo descrive il tempo della prova nel deserto. Esso si riferisce più precisamente al tempo dell’adolescenza e della giovinezza: il tempo del deserto è il tempo della prova e dell’innamoramento, il tempo del timore e della legge, il tempo del bisogno e del dono, il tempo dell’attesa e dei legami. Qui si gioca il rischio della prova per il cucciolo d’uomo: per diventar grandi bisogna tenere in tensione viva e vitale le coppie di temi appena ricordate. Le prove della vita devono far scoprire un nuovo amore, il timore del cammino ha bisogno dell’istruzione della legge, la mancanza di pane e acqua (gli elementi fondamentali) apre il cuore al dono, l’attesa per il domani crea nuovi legami.
Un passo del Deuteronomio mette in parallelo l’azione di Dio e quella del padre: «Nel deserto, hai visto come il Signore, tuo Dio, ti ha portato, come un uomo porta il proprio figlio, per tutto il cammino che avete fatto, finché siete arrivati qui» (Dt 1,31). La trasmissione della vita e della fede, che è il tema del Sinodo dei giovani, suggerisce che la fede serve per costruire il progetto di vita di un adolescente che diventa giovane. Per far questo non basta trasmettere valori, ma bisogna che le scelte e i gesti di una famiglia diventino eloquenti e capaci di plasmare gradualmente la capacità di ereditare. Non bisogna solo trasmettere, ma bisogna lasciare lo spazio e soprattutto il tempo per ereditare.
L’atto dell’ereditare non è un obbligo, ma implica un vincolo, non è imposizione, ma un legame che nutre e fa crescere la libertà proprio nell’atto di riconquistare quello che ci è stato donato. Ora, il movi- mento dell’ereditare comporta tre passi:
– ereditare è un ‘noviziato’: nell’adolescenza e nella giovinezza si na- sce una ‘seconda volta’ quando si deve riconquistare il ‘patrimonio’ (il patris munus) non ricevendolo come una pura proprietà o una rendita da incassare, ma come un modo di vita da accogliere criticamente e reinterpretare creativamente. Per questo l’educazione ha la forma di un ‘noviziato’, di un ambiente e un tempo per essere ‘iniziati’ alla vita in grande. Si tratta di ‘prendere possesso’ e di scegliere ciò che si ere- dita, di là da un nostalgico conservatorismo (cosificazione del debito simbolico da cui siamo costituiti) o da un progressismo autosufficien- te (rottura violenta col passato e affermazione di una falsa autonomia). Per questo ogni noviziato ha bisogno di ‘maestri di vita’.
– ereditare è un ‘tirocinio’: per non restare legati al passato senza creatività o rifiutarlo senza debito simbolico a chi ci ha generato, è necessario suggerire una prassi educativa che sia un ‘tirocinio di vita’: sul lato dell’educatore, è un atto di amore che si prende cura di un corpo, un volto, un nome singolari, rendendo così l’altro singolare; sul lato del ragazzo/adolescente/giovane, la cura deve essere percepita come un atto di singolarizzazione, un cammino per farsi persona, che ha biso- gno della presenza dell’altro e del cimento con le esperienze fondamentali della vita con l’altro. Preghiera, ritualità, carità, missione non vanno vissute solo come ‘eventi’ straordinari (come happening), ma come un ‘lavoro’ della persona e sulla persona, perché sia strappata dal cerchio magico del suo solipsismo. Per questo ogni tirocinio ha bisogno di un ‘tempo disteso’.
– ereditare è crescere in ‘responsabilità’: ereditare è capacità di rispondere a un appello, è insegnare nel corpo, nella memoria, nei sogni, nelle scelte, nei gesti, nelle speranze a curare l’interiorità. Senza intimità non c’è ‘responsabilità’, perché non v’è capacità di rispondere a una Parola che ti precede, di far eco a una voce che ti chiama. Nel giovane occorre coltivare il desiderio e non riempire il bisogno, insegnare ad attendere e non a pretendere subito, stimolare a preparare e non rincorrere l’immediato, accompagnare al rischio delle scelte e non a rinviare le decisioni, far attendere per domani un risultato più alto piuttosto che una facile conquista oggi, educare a un’affettività armonica e simbolica e non a una sessualità fisicista e consumistica, plasmare al senso della fatica, del limite e della sofferenza e non seguire le sirene di una felicità salutista e spensierata. Far comprendere il valore della preghiera, della meditazione, della carità, della prova, del volontariato, della tenuta di fronte all’avvilimento, dell’elaborazione dell’opacità quotidiana, tutto questo e molto altro ancora, dilata la ‘cassa di risonanza’ della ‘responsabilità’. Per questo ogni responsabilità ha bisogno di ‘buone relazioni’.
Questa è la grande prova del deserto con i suoi elementi caratteristici: il timore e la prova, la mancanza dei beni (il pane e l’acqua), la libertà e la legge, l’alleanza e i nuovi legami, l’infedeltà e l’innamoramento, l’attesa e l’anticipazione, sono i passi per entrare nella terra promessa.
Entrare-in: la terra della libertà
Infine, il terzo momento del cammino dell’esodo fa entrare nella terra promessa, dove scorrono latte e miele. Per gli adolescenti e giovani di oggi, che sono definiti i millennials, accedere alla vita adulta è diventato un vero sogno, quasi l’aspirazione a una terra promessa in cui è diventato impossibile entrare.
Tre fenomeni preoccupanti dalla nostra società sembrano rimanda- re sempre più il sogno di poter raggiungere la terra in cui abitare da adulti, dopo aver costruito buoni legami e per generare una storia fa- miliare e sociale, in cui i giovani saranno protagonisti del loro domani.
Il primo fenomeno è la denatalità: chi ha tra i 25 e 34 anni ha incrociato nella fase più vulnerabile della sua vita la recente crisi economi- ca, da cui non siamo ancora del tutto usciti, e si è trovato a realizzare i suoi desideri molto al di sotto delle sue possibilità. Se confrontiamo il nostro paese con la Francia, che ha una popolazione simile alla nostra (circa 60 milioni di abitanti), registriamo che le nascite in Francia sono circa 800 mila per anno, mentre noi siamo sprofondati sotto le 500 mila (figli degli immigrati compresi). Nella fascia 25-34 anni siamo un milione in meno, mentre in quella 15-24 siamo sotto di un milione e mezzo. Questo inverno demografico renderà gelida e infeconda la primavera dei prossimi decenni.
Il secondo fenomeno è la disoccupazione. I giovani occupati in Francia sono il 26%, in Italia il 17%, mentre la media europea è al 31%. Questa diminuzione del lavoro per le nuove generazioni italiane era già in atto prima della recessione, ma si è accelerata in questi anni di crisi. Gli occupati in età tra i 25-34 anni erano 6 milioni nel 1997, 5,6 milioni nel 2007 e arrivano appena a 4 milioni oggi: si è perso un lavoratore su tre nella fascia 25-34 anni. Si nasce di meno perché si sono ridotti gli eventuali partners e nuovi genitori, ma soprattutto perché le scelte di vita sono rimandate per mancanza di mezzi per mettere casa e fare famiglia. A ciò si aggiunge il fenomeno preoccupante dei Neet (generazione senza lavoro e senza formazione: è il 22%, rispetto al 14% della media europea, dei giovani italiani tra i 15 e 29 anni). Tutto ciò spinge alla forte richiesta di potenziare gli strumenti di formazione e di incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Il terzo fenomeno è l’indebitamento pubblico, che mette sulle spalle di ogni bambino che nasce uno zaino con 35 mila euro di debito. Per fortuna per ora, soprattutto nel momento della crisi, la generazione dei millennials, nata in famiglie con la ricchezza media più alta del dopoguerra, ha beneficiato di queste risorse, soprattutto da parte dei nonni, nel momento in cui accedeva alla vita adulta per comprare una casa e fare famiglia. Ma ora questo patrimonio di risorse va assottigliandosi, e l’accesso alla terra promessa della vita da grandi non appare più come un diritto, come è scritto nella carta costituzionale, ma come un ‘colpo di fortuna’. Noi adulti saremo giudicati spreconi ed egoisti, per aver vissuto sopra le nostre possibilità.
Questi tre fenomeni sembrano trattenere ancora la carovana del mondo giovanile sulle rive del Giordano, impedendogli di entrare nel- la terra promessa. Bisogna però che vi sia uno scatto di generosità da parte del mondo adulto. Ciò che può fare la vita pubblica domanda una competente e disinteressata azione di intervento della politica: l’elezione del prossimo parlamento dovrebbe porre al centro il destino della generazione giovanile e della famiglia di domani.
Una parola conclusiva vorrei dire per le famiglie e le comunità cristiane: bisogna riprendere, con la scuola, l’alleanza educativa tra fa- miglia, scuola e comunità cristiana, ma soprattutto la presenza e l’accompagnamento dei giovani alla vita adulta. Diamo molto tempo ad ascoltare e stiamo vicino ai giovani, abitiamo i loro spazi e incontriamo i loro desideri. Perché possano compiere l’avventuroso cammino che esce da una terra di dipendenza, passa attraverso l’età meravigliosa e perigliosa della crescita, per entrare nel paese della maturità umana. Bisogna che i giovani sperimentino ciò che la Scrittura dice a proposito del cammino che ha condotto Israele fuori dall’Egitto, percepito come un dono benefico e paragonato al primo volo dell’aquilotto sulle ali della madre, con cui prende sicurezza nel cielo: «Voi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquila e vi ho fatto venire fino a me» (Es 19,4, cfr. Dt 32,11).

Ultima modifica il Giovedì, 22 Febbraio 2018 10:09
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