Sabato, 23 Settembre 2017 13:24

Eucaristia, famiglia e vita cristiana: ripartiamo dall’essenziale

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Lettera aperta ai genitori della parrocchia  in formato pdf

Carissimi genitori,

riprendere dopo le vacanze estive è sempre nello stesso tempo una fatica e una sfida. Da un lato rientrare nel tran tran della quotidianità risulta duro, d’altro canto però sappiamo di aver avuto tante occasioni per riflettere e progettare e ora non vediamo l’ora di cantierizzare i nostri propositi.

Lo stesso avviene anche per la nostra comunità parrocchiale: d’estate si guarda e si riflette, si notano le crepe e la bellezza, si parla e si prega, si giudica e si progetta. Il più delle volte cedendo alla tentazione di pensarci detentori delle chiavi del sapere e di immaginare tutti i problemi risolti grazie al nostro essere bravi. A volte dimentichiamo di essere di Dio e ci mettiamo volentieri al suo posto godendoci lo sguardo estasiato di chi ci ascolta e immaginiamo anche gli applausi e le strette di mano: perché ci piace pensarci grandi e in grado di comandare…

L’UNICO ATTO DEGNO DI UN UOMO È INGINOCCHIARSI DAVANTI A DIO E A TUTTO QUANTO E’ DA DIO
Sì, forse dovremmo non solo scoprire le ginocchia sfibrando i pantaloni, ma dovremmo imparare a stare dinanzi agli altri  e al mondo in ginocchio. La moda di portare le ginocchia bene in vista è in funzione del sottolineare che noi riconosciamo come autorità solo chi merita non il nostro inchino ( si fa col bacino rimanendo in piedi), ma il nostro cadere ai suoi piedi assumendo una posizione a dir poco “strana”.  Siamo fatti per camminare, per cercare chi merita tutto il nostro essere e trovatolo non esitiamo a significare la pienezza di gioia cadendo in ginocchio davanti ai suoi piedi.

Ci facciamo troppo grandi, ci piace immaginare gli altri ai nostri piedi. Invece occorre recuperare il senso di meraviglia e di maestosità dinanzi al creato e guardare il mondo dicendo lo stupore per l’immensamente grande che ci avvolge. Siamo creature (in dialetto il termine indica i “piccoli”), rivestiti di maestà e di splendore ma per dire che solo Dio è Signore del cielo e della terra. La sfida che abbiamo di fronte è proprio questa: dire che siamo di Dio e che riconosciamo il primato di Dio con tutto il nostro essere: sia quando pensiamo sia quando operiamo.

La vita cristiana comincia quando il nostro sguardo di inginocchiati osa cercare lo sguardo di Dio e comprende di essere fatto per stare in piedi, per narrare con il proprio corpo la gioia di aver incontrato il Signore.
Si può parlare in modo sensato e credibile di tutto, di Dio come dell’uomo, solo nella misura in cui sappiamo di essere abitati dentro da una meraviglia e da uno stupore che generano passione e  tenerezza.
Si può sterilizzare il rischio di autoesaltarsi e la tentazione di fare degli altri lo zerbino della propria vita solo lasciandosi guidare da quel desiderio di servire il diritto alla gioia e alla pienezza di vita che l’altro vanta perché candidamente meraviglioso, perché persona!

Ristabilito quindi il primato di Dio, oso sottoporre alla vostra attenzione alcune mie considerazioni inerenti il nostro camminare insieme un altro anno, a Dio piacendo.

L’EDUCAZIONE: ATTO D’AMORE VERSO DIO E IL CREATO
Anche io sono responsabile educativo. Ma solo dopo di voi o, se volete, con voi.
Penso sia il tempo di dire basta alla tentazione di abbandonarci all’analisi della situazione della nostra comunità e all’esibizione da bar dello sport di proporre soluzioni o interventi per aggiustare la realtà dei fatti.

E’ vero: ci sono problemi che rendono il cammino e il lavoro difficili , faticosi e spesso anche infruttuosi. Ma l’analisi non è il motivo della vita cristiana né la ragion d’essere della chiesa. Non siamo un partito che deve vincere le elezioni, né un’associazione che deve conquistare clienti, né un’azienda che deve portare profitti. Dobbiamo solo custodire la nostra libertà dal male e rimanere fedeli al Dio che Gesù ci ha spiegato confidando nell’azione dello Spirito. Non dobbiamo trasformare il mondo, ma continuare ogni giorno a mettere i nostri piedi sulle orma lasciate da Gesù.

La nostra è comunità ricca di problemi e di potenzialità. E’ autenticamente umana, soffice, permeabile. Come il terreno seminato da Gesù. Con durezze, pietre, spine: ma Gesù va ugualmente a seminare senza guardare alla convenienza o meno. Come lui esce e spande generosamente il seme, così anche la chiesa in tutte le sue articolazioni deve operare in nome e per conto di Cristo generosamente e senza guardare in faccia a nessuno. Viene in mente san Paolo, che a Timoteo così si rivolge: “voglio farti una raccomandazione: predica la parola di Dio, insisti in ogni occasione, rimprovera, raccomanda e incoraggia, usando tutta la tua pazienza e la tua capacità d’insegnare” 2Tm4,1-2.

Sarebbe veramente un grave errore arrendersi o cedere allo scoramento. Droga sin dalla prima adolescenza, bullismo, ludopatia, alcolismo e tante forme di violenza trovano terreno fertile soprattutto quando le logiche e gli interessi sottostanti dominano incontrasti.
Di qui l’importanza dell’educazione ai valori. In prima linea nell’orientare a quanto dà senso e consistenza alla vita; i primi ad insegnare l’arte di amare se stessi e chi si ha di fronte; i più accreditati per trasmettere il senso di Dio e la bellezza della vita sono i genitori. Sono essi i primi catechisti, i primi in tutto: e quindi anche nel male…
I GENITORI, QUESTI AVVENTURIERI COL POTERE DI DETERMINARE IL FUTURO DELLA SOCIETA’
L’educazione ai valori avviene in famiglia. Le altre agenzie educative sono solo gregarie, di supporto. Niente può sopperire alla vostra opera. E la base, il canale di ogni valore è dato dalla testimonianza! Si insegna con la vita, con l’esempio. Le parole sono accessorie... aiutano a comprendere i fatti, ma non dispensano dall’azione. Le virtù si testimoniano, non si insegnano! Il dono più bello per i vostri figli? Amate vostra moglie, amate il vostro marito!

Vedete, la scuola dell’amore è la famiglia. Se da piccoli si impara ad amare i familiari, da grandi si sarà in grado di amare praticamente tutti: come si fa a vivere di pazienza e perdono se queste dimensioni non le apprendi in famiglia? Quando i genitori praticano le virtù, generosità, perdono, pazienza, è più facile che i figli li seguano. E’ vero, molte volte rischiate di scoraggiarvi perchè i ragazzi non obbediscono, ma siate pur certi che non mancheranno mai di imitarvi!

Il vostro modo di vivere, le vostre scelte, la vostra testimonianza non solo insegnano l’abc della vita ai vostri figli, ma ne fanno comprendere anche lo spessore.

E se questo è vero per la lingua e gli atteggiamenti, ciò è maggiormente evidente per l’educazione ai valori. La passione per le cose belle, la passione per l’amicizia autentica e disinteressata i vostri figli la possono apprendere solo da voi. L’amore per Dio solo se vissuto in famiglia può passare, essere trasmesso ai vostri figli. La scuola, la chiesa possono aiutarvi in questo: ma non sostituirsi a voi!

Di qui il mio appello alla responsabilità: date il meglio di voi stessi ai figli, ma non ponete i valori civili e religiosi all’ultimo posto! Ne va del futuro della società, dei vostri figli e di Dio stesso (per quanto dipende da Noi!)
La fede non nasce sulla base di formule apprese al catechismo... che viene troppo tardi e non sempre viene fatto nel migliore dei modi! La fede nasce dalla testimonianza,  e solo la testimonianza dei genitori può far capire al figlio che il rapporto con Dio è di fondamentale importanza per la comprensione del senso della vita e del valore di ogni persona e quindi anche del figlio stesso.

Vi prendete cura dei vostri figli accompagnandoli a scuola e verificando il grado di crescita nella cultura, e fate bene; avete scelto attività complementari quali lo sport, la palestra, la danza: tutte dimensioni che dicono della vostra premura per una crescita armonica ed equilibrata, e in questo siete eccezionali. Ma l’educazione della coscienza è fondamentalmente solo nelle vostre mani: appassionare al gusto del vero, del bello, del buono è vostra prerogativa; suggerire stili di vita sani e attenti al valore del creato è lasciato alla vostra premura; inculcare la passione per la sorte dell’altro e insegnare l’arte di amare e di coltivare sane amicizie è affidato al vostro buon cuore; saper riservare uno spazio a Dio, imparare a pregare, a  mettere nelle Sue mani le gioie e i dolori della quotidianità è possibile solo se vissuto in prima persona da voi genitori. Si impara ad amare, ad essere educati, ad essere generosi, a pregare, ad andare a messa  solo se i grandi amano, sono educati, sono generosi, pregano, vanno a messa...

LA CENTRALITA’ DELLA TAVOLA IN UNA FAMIGLIA
La crisi della famiglia e della genitorialità ha il suo indicatore principale nell’incapacità a stare a tavola insieme.

Infatti, a tavola si comprende appieno il ruolo del padre e della mamma: nutrire, far crescere i figli; significare la ragione della propria vita: consumarsi totalmente per i figli; dire con i fatti che l’amore non è chiudersi in un abbraccio ma aprirsi all’accoglienza del dono della vita; dire concretamente qual è il centro della giornata e del proprio cuore: stare insieme con chi si ama.

E poi, a ben guardare, a tavola si trasmettono le coordinate fondamentali che fanno del piccolo un figlio: lo si fa sentire grande, uguale nella dignità e quindi responsabile; impara a ragionare come il padre e la madre ascoltando i loro discorsi e partecipando dello loro sensazioni; ci si confronta, anche aspramente, ma sempre sapendo che chi si ha dinanzi è mio padre: che tutto farebbe pur di vedermi capace di camminare la vita nella libertà e nella gioia.

Nel rito del pranzo familiare l’amore del papà e della mamma viene ridetto nella delicatezza della gioia conviviale. E’ come sussurrare tutti i giorni concretamente al proprio figlio “ti amo”, “ lo vedi che ti amo?”, “ lo sai che sono fiero di amarti?”, “ tu devi vivere, ce la devi fare: sei la vita mia!”.

La tavola è l’espressione più genuina dell’arte di amare: farsi cibo, nutrimento per chi si ama.

Quante cose imparo a tavola: a stare composto, ad essere educato, a ringraziare, ad ascoltare, a parlare confidando nell’ascolto dei grandi, a vivere la diversità come dono.
Mamma e papà, due persone profondamente diverse, hanno realizzato insieme qualcosa di straordinario e hanno accolto tra di loro me, che forse non sono neanche come mi sognavano, e ne hanno fatto il motivo della loro vita. Una coppia che si consuma nutrendomi, perché io sono la ragione della sua vita.
 
A tavola imparo a diventare fratello perché riconosco che la passione di mamma e papà per l’altro figlio, che è diverso da me, è l’unico vero motivo per dare pienezza alla relazione: amando mio fratello come lo amano mamma e papà vengo a dire di volere veramente il bene dei miei genitori. Non si nasce fratelli, si diventa fratelli stando a tavola tutti insieme. E mi comporto con l’altro da fratello quando faccio tutto senza alcun interesse, il contrario sarebbe complicità, non fratellanza. E’ l’amore per il padre e la madre il fondamento dell’amore verso il fratello.

Non oso immaginare i sentimenti di un papà, di una mamma, quando sono invitati per la prima volta a mangiare a casa del figlio appena sposato. Un turbinio di pensieri e sensazioni che fanno sprofondare in considerazioni che riannodano i giorni con l’eternità.

Il pasto comune è la cartina di tornasole di una casa: albergo o famiglia. Si comprende facilmente la qualità delle relazioni familiari a seconda dell’importanza del pasto nelle dinamiche quotidiane. E lo sappiamo tutti.

Anche un gruppo di amici o conoscenti possono stare insieme a tavola. Ma non è la stessa cosa. Quanto grande è lo scarto con il pranzo familiare. Si può stare a tavola in modo sensato e umano con gli altri solo dopo aver appreso a casa a stare a tavola.

C’è il grande rischio di snaturarne il senso. Chi convoca, chi presiede ha l’esigenza di affermare una “paternità” che non sempre è libera dal desiderio di comandare: in fondo lo scopo ultimo può essere quello di asservire a sè i convenuti, non servire la loro crescita e rispettare la loro libertà. Da momento conviviale può diventare strumento per imporre la propria leadership (strumento formidabile per le campagne elettorali è il pranzo...) o occasione per carpire i segreti di una persona. Mangiare insieme è il vertice sia delle dinamiche di amore sia delle dinamiche di perversione. Ecco perché il primo Salmo dice “beato” l’uomo che ha la fortuna di non sedersi (a tavola) con chi dà cattivi consigli.

LA MENSA EUCARISTICA NELLA VITA CRISTIANA HA LA STESSA FUNZIONE DELLA TAVOLA IN UNA CASA.
Con le stesse potenzialità e gli stessi rischi.

Si ristabilisce il primato del Dio creatore, che mettendo ordine fa andare avanti la vita. Stare dinanzi a Dio significa fare l’esperienza di essere non estranei al Cielo, ma figli: capiti, compresi, perdonati, nutriti. A tavola si parla e si ascolta, si guarda e si viene guardati, mai umiliati. A messa si somatizza l’amore del Padre, in festa perché ci lasciamo raggiungere dal suo perdono, mentre facciamo della gioia di stare insieme il fondamento della speranza di essere migliori.

La messa è scuola di umanità: portiamo il carico delle nostre fragilità e la richiesta pubblica di perdono (confesso a Dio ... e a voi fratelli che ho molto peccato..) ci disinfetta sia dal rischio della superbia spirituale e morale ( pensare di essere Dio di sè e degli altri) sia dal rischio di non credere più in noi stessi. È lo sguardo di Dio padre che ci restituisce alla dignità di figli rivestendoci di misericordia e ridando vigore alla trama dei nostri giorni. E nella ripetitività del gesto (ogni sette giorni, ogni festa) riaffermo pubblicamente quanto è centrale nella mia vita: non voglio correre il rischio di dimenticare la mia origine. Vengo dal cuore del Dio dell’impossibile e voglio vivere i miei giorni facendo il ritratto di Dio.

La messa è scuola di fraternità. L’altro, che è diverso da me, si rivolge a Dio chiamandolo “padre” come me. Dio non vuole soltanto me felice, ma anche chi mi sta accanto, che non é come io vorrei. E io guardando al padre imparo a sposare la causa della sua felicità: solo così l’altro da estraneo o nemico diventa amico, fratello. Senza il riferimento al Cielo si può essere veramente amici, fratelli?

La messa è scuola. È importante frequentare la chiesa, non sapere le cose di chiesa. È la familiarità con i luoghi, i gesti e le parole che sortisce l’effetto di impregnare il corpo del vivente. Più si sta con una persona e più là si conosce; più la si conosce e più si desidera la sua presenza perché noi siamo lo sguardo che gli altri ci restituiscono. Quanto ci sentiamo veri quando lo sguardo di Dio ci restituisce alla pienezza di vita. Non si ha paura di stare alla presenza di chi ci ama, anzi...

La messa è scuola di uguaglianza. Non a chiacchiere. Gesù è nato per tutti, è morto per tutti, nel cenacolo si fa cibo a tutti. L’amore del padre raggiunge tutti indistintamente a prescindere dallo stato in cui ci si trova. Dio non ci ama perché gli accordiamo il permesso. Dio è creatore e padre di tutti da sempre e per sempre. Siamo liberi di non lasciarci ricreare dal suo sguardo, ma non abbiamo il potere di fermare l’amore, che è eterno e pervade l’universo. E se a volte la tentazione di pensarci migliori, e quindi superiori agli altri, ci assale perché abbiamo fatto delle belle cose di cui vantarci, a messa impariamo a “riconsegnare” tutto all’autore del dono e a mettere nelle sue mani gioie e dolori. E così scopriamo la vera bellezza, quella che tutto avvolge: non siamo amati perché belli, ma belli perché amati. E’ l’amore di Dio la ragione della bellezza di tutti e il motore del nostro appassionarci alla sorte dell’altro portandone anche il peso. Quanta retorica in discorsi di certi intellettuali…, quanta concretezza nel gesto semplice di stare a messa.

La messa è scuola di libertà. La libertà non è la possibilità di fare ciò che pare e piace, ma la capacità di scegliere ciò che è buono e bello e orientare tutte le proprie energie per realizzarlo. Si è veramente liberi quando si lotta contro la tentazione di assolutizzare i propri interessi e si scopre la bellezza del “salvarsi”  facendo ciò che è bene per gli altri. E alla scuola di Gesù questo impariamo. E “nutrendoci” di Lui questo desideriamo: la vera libertà.
Il papà, la mamma sono il baluardo per il figlio contro ogni paura e contro ogni avversità. A messa si impara a vincere ogni ritrosia e ogni paura. Non siamo soli e abbandonati. Siamo accompagnati delicatamente e con determinazione. La parola e il cibo ci restituiscono dignità e forza. A tutti è offerta una parola chiarificatrice  e una griglia di lettura per la propria vita, a tutti è offerta una parola consolatrice e una speranza; a  tutti è ridetto che abbiamo ricevuto uno spirito da figli e non da schiavi e che quindi dobbiamo avere il coraggio di osare. Lui, Dio, crede in ogni vivente. Anche in te, e in chi ti sta accanto!

A messa si impara a ricevere il perdono e ad accordarlo. Quanta supponenza quando ci si sente “a posto”. Quanta sofferenza quando non si riesce a perdonare. O a non farsi capire dagli altri nelle proprie profonde intenzioni. A messa si comprende che il perdono è dono gratuito e che chi sbaglia può anche non chiederlo o farne un cattivo uso, eppure si sta dinanzi al Dio che è grande nel perdono! Si perdona non perché richiesti di perdono, ma perché animati dall’amore. Il perdono è conseguenza dell’amore, non qualcosa che possiamo meritare o acquistare. Il diritto a stare a tavola è dato dal fatto che la paternità è un dono che non si può meritare e neanche perdere. Chi vive la gioia del perdono è poi capace di donare gioia perdonando.

La messa è scuola di gratuità, di mancanza di interessi. Dio per sè non chiede nulla. Né soldi, né voti, né applausi. Di quanti piccoli dei siamo circondati: tutti in fondo ci cercano perché vogliono qualcosa da noi.  Dio si fa prossimo proprio per invitarci a non cedere alle lusinghe di chi vuole carpire la nostra libertà, la nostra coscienza, il nostro corpo con la lusinga di qualcosa che non potrà mai riempire il nostro desiderio di pienezza. Le persone libere sono l’incubo dei prepotenti e dei tiranni, dei marpioni e dei supponenti. Sperimentare l’amore di Dio rende liberi, perché chi ha Dio nel cuore e sa di essere commensale del Signore non ha bisogno di inchinarsi dinanzi a niente e a nessuno. Niente ti turbi, niente ti spaventi, chi sta alla presenza di Dio non manca di Nulla: solo Dio basta! (santa Teresa).

La messa è scuola di generosità. Non solo si prega anche per gli assenti e i lontani. E la preghiera è la più alta forma di carità. Ma si vive la concretezza della sollecitudine verso quelle che sono le esigenze dei poveri, dando così un segno tangibile della consapevolezza che siamo tutti fratelli e che ci troviamo nella stessa barca. Il Dio che dona tutto se stesso gratuitamente viene detto poi dal credente nel gesto simbolico della preghiera e dell’elemosina.

Se solo riuscissimo a godere  una piccola parte del dono che ci vien fatto nella celebrazione eucaristica!

Eppure spesso ci troviamo a fare i conti con il tentativo di manipolare il dono dimenticando l’autore del dono. Quante volte pensiamo di poter comprare una messa; quante volte ci appropriamo della messa per farne non il luogo del nostro stare con Dio insieme con i fratelli ma l’occasione per ostentare una fede vuota e insignificante attirando l’attenzione su noi stessi e sulle nostre opere; quante volte ci facciamo vedere a messa se non altro per tacitare i nostri rimorsi e gettare fumo negli occhi degli altri per apparire credenti; quante volte ci ricordiamo di Dio solo perché dobbiamo assolvere a un obbligo ma non ne sentiamo il desiderio. Ma Dio ci ama lo stesso. E nella nostra distanza dice di una vicinanza che rende possibile la conversione, il pentimento, l’incontro, l’abbraccio. Il figlio si allontana dal padre, racconta Gesù, ma il padre non cessa di attendere e quando lo vede da lontano gli corre incontro, lo abbraccia, lo bacia e comincia a far festa.

Quanta gioia poter far compagnia a Dio, occupando il posto che è riservato per ognuno di noi alla sua mensa, e imparare da Lui l’arte di essere viventi!

IL GIORNO DI FESTA, ESSENZIALE PER COMPRENDERE LA VITA
Vorrei fosse chiara a tutti la centralità e insostituibilità della messa domenicale.
Tutta la vita della comunità ha il suo punto di arrivo e di partenza proprio nella celebrazione dell’eucaristia. Avere i figli piccoli può essere l’occasione per riscoprire la bellezza della vita cristiana nella sua forma piu genuina e consegnare ai figli il segreto per una vita riuscita.

Immagino già le vostre facce e i vostri pensieri: caro mimì, siamo stanchi, corriamo tutta la settimana, abbiamo un arretrato indicibile, non abbiamo più tempo per stare insieme. Certo dite una sacrosanta verità. Però sfugge che la messa l’ha inventata Cristo proprio perché conosce la nostra stanchezza e il nostro bisogno di comunione! Andando a giocare la domenica ci si riposa? O andando all’outlet si sta insieme? Il vero riposo è nel distrarsi? Quanto mi piacerebbe far toccare con mano che questa è poi la logica che porterà i vostri figli adolescenti a credere che ci si riposa distraendosi e quindi il venerdì sera, il sabato sera, domenica bisogna distrarsi per diverstirsi e quindi riposarsi. Ma è proprio vero che il divertimento ci fa riposare? Il divertimento è il farmaco per dimenticare la fatica di vivere, la bruttezza della vita: è una forma di fuga dalla realtà  e tutto quanto è in funzione dell’allontanamento dalla realtà ( alcol, fumo, etc) è benvenuto. Sono le serate dei nostri giovani…

Guardate bene la nostra vita: non abbiamo bisogno di essere aiutati a fuggire dalla realtà, ma di essere aiutati a gustare il tempo che ci viene donato. Non abbiamo bisogno di qualcosa che ci faccia dimenticare la fatica di vivere (il divertimento); abbiamo bisogno di recuperare il senso della fatica di vivere. E nella festa questo avviene: il lavoro ha un senso, la decisione di mettere su famiglia ha un senso, fare del bene ha un senso, perdere tempo per la propria famiglia ha un senso!
La messa non ci fa dimenticare la vita, come avviene in qualsiasi forma di divertimento. La messa ci restituisce  nuovi alla quotidianità, ci riempie il serbatoio interiore di fiducia e di coraggio!

Quando il bambino è stanco o deluso, non gli si dice: “va a letto” oppure “mettiti a giocare”. Una brava mamma lo avvicina delicatamente a sé, lo stringe fra le braccia, lo riempie di baci, lo ascolta attentamente, lo aiuta a capire, lo incoraggia, lo fa sentire un tesoro e solo quando lo ritiene ormai sicuro di sé dopo un ultima forte stretta al cuore e una delicata carezza lo lascia andare.

Quando si è stanchi o delusi abbiamo bisogno non di evadere, ma di recuperare le coordinate fondamentali dell’esistenza. E’ un esercizio spirituale che ci restituisce alla pienezza di vita: chi ci ama non banalizza la nostra situazione allontanandoci ma si prende cura di noi. Ciò di cui abbiamo bisogno è recuperare la bellezza della nostra umanità ferita o stanca. Non vogliamo dimenticare ma restituire fiducia e forza al cuore. Cerchiamo in fondo qualcuno che ci ascolti, che ci faccia sentire amati, che ci dedichi un po’ di attenzione, che ci faccia sentire desiderati e degni di una carezza e di un bacio.
Non è stare seduti insieme sul divano a vedere la Tv o andare alla partita insieme o a teatro che rinfranca l’anima: sono tutte esperienze di evasione (dai veri problemi), capaci di distrarre ma non di guarire.

LA DOMENICA, GIORNO DEL SIGNORE
Fare la domenica significa separare i sei giorni del lavoro faticoso, dal tempo consacrato al godimento del riposo. La consacrazione avviene proprio offrendo, sacrificando l’opera delle nostre mani così da ricevere, nell’atto stesso della rinuncia, la pienezza di vita che viene dal Cielo. Facendo la domenica diciamo di credere in Dio, ricordiamo a noi stessi di essere creature e non creatori, di essere originati e sempre amati, mai abbandonati a noi stessi!
Proviamo a riflettere sulle tracce mnestiche adagiate nelle nostre menti: il bambino gode quando stanco riposa al sicuro tra le braccia della madre; l’amato gode quando, fermo e silenzioso, si abbandona tranquillo nelle braccia dell’amante. Sappiamo di aver bisogno di sentirci amati. E la domenica è il simbolo dell’amore di Dio offerto indistintamente a tutti i viventi, a tutto il creato. Non si ama Dio, il mondo, il creato se non si vive la domenica.
Idolatria e superbia intellettuale sono originate proprio dal non riconoscere  di essere originati dal Signore che provvede a custodire ricordandosi di tutto quanto è uscito dal suo cuore. Fare domenica significa quindi ricordarsi che Dio ci tiene a cuore, che non siamo abbandonati a noi stessi.

Dio ha creato la domenica per restituirci a noi stessi: è il più riuscito atto d’amore. Dio per sé non vuole nulla; vuole che noi siamo felici e ci manteniamo sempre nella consapevolezza di esistere per grazia e non per quello che facciamo. Il compimento della creazione non è la persona, ma il settimo giorno. Tutto il creato è fatto per entrare nel riposo di Dio. Cosa facciamo a messa: nulla! Contempliamo l’opera di Dio che ri-dice il suo credere nella bellezza di ogni creatura: rivolge la sua parola, incoraggia, perdona, fortifica, nutre, infonde speranza: a tutti, indistintamente! Di fronte a tutto questo noi siamo chiamati a bisbigliare la nostra gratitudine riconoscendo così che siamo suoi e che solo in Lui il nostro cuore trova pace.
Quanto la Rivoluzione francese non è riuscita a fare (eliminare il ciclo temporale di sette giorni introducendone un altro di dieci giorni eliminando quindi il segno per eccellenza di Dio che è la domenica) sembra essere riuscito alla modernità.

SENZA EUCARISTIA NON C’È VITA AUTENTICA
Tutte le altre attività della parrocchia non hanno alcun senso se sganciate o isolate dall’Eucaristia domenicale. Il catechismo, la carità, i riti, le processioni, le visite agli ammalati  se non procedono dall’eucaristia sono pura esibizione, ipocrisia allo stato puro.

La comunità raccolta per celebrare il giorno del Signore è il luogo dell’educazione al rispetto della dignità del prossimo. San Paolo insegna che la chiesa è “il corpo di Cristo”, quindi la concretezza relazionale di Gesù. In chiesa imparo a guardare l’altro non solo come un “diverso” da me ( e quindi necessario, insostituibile come lo sono io) ma anche come un fratello, di cui io mi devo prendere cura, pena il non funzionamento di tutto il corpo e la sofferenza conseguente.

Sapete, a volte quando vedo i vostri bambini venire in chiesa sono preso da sentimenti contrastanti. Immagino la cura nella scelta del vestito bello per andare in chiesa e la grandezza del pensare che il vostro piccolo forse in chiesa parlerà a Dio per conto vostro e pregherà per mamma e papà; ma sovviene anche il pensiero che il bambino vede che la mamma ritiene più importante fare le pulizie o preparare il pranzo e che il papà preferisce farsi un giro al bar per stare con gli amici e così percepisce in modo subliminale che la chiesa non è importante per la vita… i bambini non sono stupidi! Quando vedono tutta la famiglia fino alla settima generazione venire in chiesa il giorno della prima comunione o della cresima capiscono che la chiesa è come un teatro o un ristorante o un campo di calcio: c’è una esibizione (gratis), ma niente di coinvolgente o di serio. Una grande messa in scena, una finzione, uno spettacolo in cui si è protagonisti e ciò giustifica la presenza della corte familiare. E infatti tutta la famiglia, compresi i ragazzi che hanno ricevuto un sacramento, sono puntualmente assenti dalla domenica successiva: hanno appreso dai “grandi” e ora si comportando come i “grandi” con il grande rischio di tornare in chiesa come al teatro: per qualche altro spettacolo…matrimonio, funerale…

Quanto sarebbe bello avere in chiesa di norma le famiglie. Immagino il momento dello scambio della pace, non vissuto con a fianco l’amichetto o l’amichetta ma il papà e la mamma e dietro e davanti i propri conoscenti. Quanti hanno scambiato la pace con mamma e papà in chiesa, davanti a Dio? Quanti hanno visto mamma e papà fare la pace in chiesa sorridendo quando la sera prima avevano litigato davanti ai figli? Sono fotogrammi che oso sognare, e sognare non è peccato.

Il fulcro quindi della vita cristiana è la domenica. A ben guardare la sapienza della chiesa ha nell’anno liturgico un continuo corso di formazione e di aggiornamento. E’ alla scuola della parola di Dio che ci viene settimanalmente offerta che noi impariamo a decodificare quanto accade dentro e fuori di noi e a comprendere l’appello fiducioso di Dio alla responsabilità. E’ stupendo costatare come questo avvenga sia come singolo  sia come comunità, preservandoci così dal rischio dell’intimismo e della superbia spirituale: se non si impara a stare fianco a fianco tutti insieme davanti a Dio non riusciremo mai a parlare veramente di dignità, di uguaglianza, di passione per il bene comune. Non siamo credibili.

Cari genitori, vi chiedo di osare. I ragazzi che Dio ha voluto donarvi sono affidati anche alla vostra responsabilità di educatori. Possiamo aiutarvi, ma non sostituirvi. E sarebbe un vuoto grande la latitanza educativa: ne va del futuro di tutta la comunità. In fondo il vostro è il mestiere più bello del mondo proprio perché dice della passione per un mondo sempre più bello e gioioso, sempre più secondo il cuore di Dio: e Dio si lascia guardare dentro nel memoriale del suo passaggio nella storia, l’eucaristia appunto.

Ripristiniamo il primato di Dio, e Lui ci donerà tutto ciò di cui abbiamo bisogno per fare della nostra vita il suo ritratto.

E’ una grande responsabilità essere credenti, ma tutto diventa meraviglioso se consideriamo che Dio è per noi e con noi tutti i giorni. Dobbiamo solo avere il coraggio di trovare il tempo e il modo per farGli compagnia e dire con il corpo la gioia di appartenerGli.

Buona “ripartenza”  a tutti voi!
                                                                    mimì


Oppido Lucano, settembre 2017

Ultima modifica il Domenica, 15 Ottobre 2017 21:49
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