Giovedì, 01 Settembre 2016 06:47

Quando la stima di se stessi diventa disprezzo degli altri. La superbia secondo san Tommaso

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Più che un singolo tipo di peccato la superbia appare come un’espressione che indica una costellazione di peccati: orgoglio, arroganza, arbitrio, tracotanza, apparenza esteriore, desiderio di abbassare gli altri per emergere.

(Stefano Grossi)

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La parola “superbia” indica un vizio negativo dello spirito, quello superiore a tutti. Per Tommaso d’Aquino, il superbo è colui che nutre un amore disordinato per il proprio bene al di sopra di altri beni superiori.

Si tratta di un amore disordinato perché, visto che il superbo non si conosce per quello che è ma ha una conoscenza di sé come di colui che vorrebbe essere, desidera per sé ciò che non è adeguato. Il santo lo descrive come l’anelito smisurato alla propria eccellenza, che tra l’altro sminuisce la dignità altrui.

L’Aquinate sottolinea anche che questo difetto si radica nella volontà, e proprio per questo la conoscenza di sé è distorta. Al contrario, l’umile si conosce bene (come dice la Scrittura, dove c’è umiltà c’è saggezza). Per questo, per il santo la superbia impedisce la vera saggezza. Il frutto certo della superbia è la cecità della mente e del cuore.

San Tommaso distingue due tipi di superbi: quello che si gloria delle sue qualità e quello che si attribuisce cose che in realtà lo trascendono. Ovviamente il secondo è peggiore – e più cieco – del primo.

La superbia ha a che vedere con la vanagloria, ovvero con l’amore per la gloria mondana, perché si tende a considerarsi superiori a ciò che si è. Come l’onore sociale è per Aristotele il premio dovuto della virtù, la superbia cerca quell’onore ma senza virtù.

La superbia si presenta soprattutto su due fronti: su quello della scienza e su quello del potere. Quanto alla scienza, è ben noto che questa gonfia, e chi crede di sapere non sa nel modo dovuto. Per quanto riguarda il potere, le possibili cause di superbia sono due: lo status e le azioni. Non è strano, quindi, che soprattutto in una società come la nostra, in cui “comandare” e “obbedire” non significano esclusivamente “servire”, la superbia si manifesti nel sentirsi “signori” anziché “amministratori”.

Cercheremo di tratteggiare tre ambiti di questo difetto: la superbia nei confronti di se stessi, quella nei confronti degli altri e quella riferita a Dio.

Superbia personale

L’atteggiamento superbo porta alla convinzione che senza il proprio criterio e la propria esperienza difficilmente si coglie davvero qualcosa o lo si realizza nel modo corretto.

Manifestazioni di ciò sono l’arroganza e la boria. Il superbo parla sempre sicuro di sé e non è capace di ammettere che altri possano fargli cambiare criterio. Non riconosce mai di aver sbagliato.

La superbia nei confronti di se stessi è soprattutto credere che il senso dell’essere personale che si è coincida con quello dell’io che si è forgiato con i propri titoli e il proprio curriculum, e con cui si caratterizzano sguardo e azioni. In fondo, per cogliere il nonsenso della superbia forse vale la domanda del libro della Sapienza “Quale profitto ci ha dato la superbia?”, perché se il proprio essere anela ad essa, dopo la sua perdita cosa si potrà ottenere?

Superbia nei confronti degli altri

Sapere di essere migliore degli altri non è in sé superbia (è possibile che sia vero), ma bisogna sospettare quando si pensa di essere migliori in tutto e si tende a disprezzare le capacità altrui.

Il superbo cammina a testa alta e ha lo sguardo altezzoso, indifferente o distoglie gli occhi dagli altri. Il superbo non favorisce la libertà altrui, ma tende a uniformare gli altri in base al proprio criterio. La superbia promuove anche l’ingiuria, perché tende a dare etichette agli altri in base ai propri pregiudizi.

L’orgoglioso tende facilmente ad arrabbiarsi, anche per cose di poco conto, quando qualcosa contraria la sua volontà. Superbia è anche commettere chiare ingiustizie nei confronti degli inferiori senza porvi rimedio o chiedere perdono. Quando è il superbo ad essere danneggiato, serba un rancore permanente nei confronti dell’“aggressore”.

È difficile lavorare con un superbo, perché tende a vedere gli altri non come compagni, ma come subordinati; si concentra più sui difetti degli altri che sulle loro virtù; cerca di controllare il lavoro altrui, mentre il proprio è immune ad ogni controllo; simula interessa di fronte alla presenza altrui quando in realtà vede solo persone che molestano i suoi interessi.

Il superbo è un ingrato quando viene aiutato; in genere si rifiuta di svolgere compiti “inferiori”. Gli piace chiedere non per imparare, ma per mettere in difficoltà l’altro; ama obiettare non per aiutare, ma per far valere la propria opinione. In genere tende ad essere precipitoso nelle decisioni, a perdere tempo in questioni insignificanti e a disobbedire ai superiori, e quando è lui il superiore tende a valicare i limiti comandando qualcosa che supera ciò che è dovuto e a sentirsi “intoccabile”.

È orgoglio anche il disprezzo (soprattutto se senza alcuna giustificazione razionale) di qualsiasi opinione altrui, così come lo sono il giudizio temerario su questioni incerte e realtà future, l’indignazione, il disprezzo nei confronti del consiglio sensato altrui…

Superbia nei confronti di Dio

Una vita centrata sull’“io” tende a far scomparire Dio dall’orizzonte esistenziale. In fondo, se l’io reclama la propria finitezza, questa pretesa favorisce l’ateismo. Per Sant’Agostino, la superbia non è altro che una perversa imitazione di Dio, l’unico al quale si devono la gloria e la riconoscenza per tutto. Per Tommaso d’Aquino, invece, negare Dio è più superbo che pretendere di essere come lui. In questa situazione non si perde, ovviamente, l’“idea” di Dio, ma il rapporto personale con lui diventa una cosa pesante, che finisce poi per scomparire.

Il superbo concepisce Dio più che come un Padre come una nonna cieca nei confronti degli errori del nipote; in fondo è un abusatore della misericordia divina. La superbia, insomma, è fare la propria volontà, non quella divina.

L’avversione a Dio provocata da questo difetto è diversa da quella che provocano gli altri vizi, perché in quelli ci si separa dall’essere divino per debolezza o per ignoranza, mentre in questo caso il rifiuto si verifica per il fatto che non si vogliono accettare né Lui né i suoi comandamenti. Detto in altri termini, gli altri vizi fuggono da Dio, ma la superbia Lo affronta.

Tommaso raccoglie una Glossa medievale nella quale si aggiungeva che questo difetto è quello che allontana più rapidamente da Dio e anche quello che richiede più tempo per tornare a Lui. Per questo è tanto pericoloso.

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