Giovedì, 19 Novembre 2015 15:35

Noi e l'Islam. Dall'accoglienza al dialogo

Scritto da

Il discorso che il card. Martini ha rivolto il 6 dicembre 1990 alla comunità ecclesiale e civile milanese,in occasione della solennità diS. Ambrogio, merita particolare attenzione.

Riportiamo il testo del discorso quale è stato pubblicato dal Centro Ambrosiano di Documentazione e Studi religiosi.

Rimaniamo a disposizione degli aventi diritti per l'immediata rimozione dal nostro sito

Dal libro della Genesi (21,13-20)

In quel tempo Dio disse ad Abramo: 13« Io farò diventare una grande nazione anche il figlio della schiava,perché è tua prole
.l4Abramo si alzò di buon mattino, prese il pane e un otre di acqua e li diede ad Agar, caricandoli sulle sue spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò via. Essa se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea. 'Tutta l'acqua dell'otre era venuta a mancare. Allora essa depose il fanciullo sotto un cespuglio 'e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d'arco, perché diceva: « Non voglio veder morire il fanciullo! ».Quando gli si fu seduta di fronte, egli alzò la voce e pianse.
17MaDio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: « Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha ; udito la voce del fanciullo là dove si trova.
l8Alzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione
19Dio le aprì gli occhi ed essa vide un pozzo d'acqua. Allora andò a riempire l'otre e fece bere il fanciullo. Dio iocon il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d'arco.

Premessa.
I1 racconto che abbiamo ascoltato, tratto dal più antico libro della Scrittura, il libro della Genesi, ci parla di un figlio di Abramo che non fu capostipite del popolo ebraico, come lo sarebbe stato Isacco, ma a cui ugualmente sono state riservate alcune benedizioni di Dio. « Io farò diventare una gran- de nazione anche il figlio della schiava, perché è tua prole » promette Dio ad Abramo (v. 13). E infine nel racconto si dice: « Dio fu con il fanciullo (v. 20).
Le reali vicende di questo Ismaele e dei suoi figli rimangono oscure nella storia del secondo e primo millennio avanti Cristo, ma è chiaro che il riferimento biblico va ad alcune tribù beduine abitanti intorno alla penisola araba. Da tali tribù doveva nascere molti secoli dopo Maometto, il profeta dell'Islam.
Oggi, in un momento in cui il mondo arabo ha assunto una straordinaria rilevanza sulla scena internazionale e in parte anche nel nostro Paese, non possiamo dimenticare questa antica benedizione che mostra la patema prowidenza di Dio per tutti i suoi figli.
Ed è di questo che vorrei parlarvi oggi, festa di S. Ambrogio, in quello spirito di attenzione agli eventi della città che ha caratterizzato la vita del nostro patrono. Esprimerò qualche riflessione non sul fenomeno dell'Islam in generale, ma su quanto ci tocca oggi a Milano e nel contesto europeo, a seguito delle nuove forme di presenza dell'Islam tra noi.
Ho scelto come titolo preciso di questa conversazione Noi e I'Islarn. Chisiamo "noi" e chi è l'«Islam».
1. Per noi intendo anzitutto il noi della comunità ecclesiale, della diocesi di Milano, e in seconda istanza anche il noi della comunità civile cittadina, provinciale e regionale.
Certamente il problema posto dall'Islam in Europa è molto più vasto. Abbiamo avuto occasione di dirlo l'anno scorso in questa stessa sede parlando dell'accoglienza ai terzomondiali. La presenza di numerosi gruppi etnici di fede inusulmana nei nostri Paesi europei comporta anzitutto una serie di problemi riguardanti la prima accoglienza e assistenza, la casa, il lavoro. Uno sforzo che impegna tutti, e le comunità cristiane della nostra diocesi hanno dato prova in questo anno di grande spirito di solidarietà. Tale compito di prima sistemazione in accordo con le leggi vigenti riguarda in primo luogo la comunità civile, sia pure in collaborazione con forze di volontariato. Ma è evidente che tutti noi, comunità civile ed ecclesiastica, non potremo limitarci in avvenire ai provvedimenti sopraindicati. Nasceranno via via nuovi problemi riguardanti la riunione delle famiglie, la situazione sociale e giuridica dei nuovi immigrati, la loro integrazione sociale mediante una conoscenza più approfondita della lingua, il problema scolastico dei figli, i problemi dei diritti civili, ecc.

Non entro direttamente in tali temi perché ho avuto modo di partame in diverse occasioni. Vorrei solo richiamare qui, prima di abbordare il tema più specifico, un punto che mi è sembrato finora poco atteso e cioè la necessità di insistere su un processo di « integrazione », che è ben diverso da una semplice accoglienza e da una qualunque sistemazione. Integrazione comporta l'educazione dei nuovi venuti a inserirsi armonicamente nel tessuto della nazione ospitante, ad accettarne le leggi e gli usi fondamentali, a non esigere dal punto di vista legislativo trattamenti privilegiati che tenderebbero di fatto a ghettinarli e a farne potenziali focolai di tensioni e violenze.
Finora l'emergenza ha un po' chiuso gli occhi su questo grave problema. In proposito il recente documento della Commissione Giustizia e Pace della dice: « Non va dimenticata la necessità di regole e tempi adeguati per l'assimilazione di questa nuova forma di convivenza, perché l'accoglienza senza regole non si trasformi in dolorosi conflitti n (Uomini di culture di- verse: dal conflitto alla solidarietà, 25 marzo 1990, n. 33).
È necessario in particolare far comprendere a quei nuovi immigrati che provenissero da Paesi dove le norme civili sono regolate dalla sola religione e dove religione e Stato formano una unità indissolubile, che nei nostri Paesi i rapporti tra lo Stato e le organizzazioni religiose sono profondamente diversi. Se le minoranze religiose hanno tra noi quelle libertà e diritti che spettano a tutti i cittadini, senza eccezione, non ci si può invece appellare, ad esempio, ai principi della legge islamica (shari'a) per esigere spazi o prerogative giuridiche specifiche.
Occorre perciò elaborare un cammino verso l'integrazione multirazziale che tenga conto di una reale integrabilità di diversi gruppi etnici. Perché si abbia una società integrata è necessario assicurare l'accettazione e la possibilità di assimilazione di almeno un nucleo minimo di valori che costituiscono la base di una cultura, come ad esempio i principi della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e il principio giuridico deli'uguaglianza di tutti di fronte alla legge.
Ci sono infatti popoli ed etnie che hanno una storia e una cultura molto diverse dalle nostre e di cui ci si può domandare se intendono nello stesso senso i diritti umani e anche la nozione di legge. Ciò vale a fortiori dove si verificano fenomeni che genericamente chiamiamo col nome di integralismi o fondamentalismi, che tendono a creare comunità separate e che si riten- gono superiori alle altre. Ma questo è un problema che nel suo insieme riguarda la comunità civile e la causa della pacifica convivenza tra le etnie e io mi limito a richiamarlo. Connesso a questo è però il problema della possibilità anche di un dialogo interreligioso senza il quale sembra difficile assicurare una tranquillità sociale. Ora questo dialogo è possibile? Vi sono pronti i musulmani? Vi siamo pronti noi cristiani?
Come vedete, si passa a poco a poco dai problemi che toccano la comunità civile nel suo insieme a quelli più propriamente religiosi, che consistono sostanzialmente, per noi cristiani, nella necessità di valutare e capire a fondo I'Islam oggi e nel disporci al massimo di accoglienza e di dialogo possibile senza per questo rinunciare ad alcun valore autentico, anzi approfondendo il senso del Vangelo (1).
Si tratta in sostanza di rispondere a domande come queste:
a. Che cosa dobbiamo pensare oggi noi cristiani dell'Islam come religione?
b. L'Islam in Europa sarà anch'esso secolarizzato entrando quindi in una nuova fase della sua acculturazione europea?
C. Quale dialogo e in genere quale rapporto sul piano religioso è possibile oggi in Europa tra cristianesimo e Islam?
d. La Chiesa dovrà rinunciare a offrire il Vangelo ai seguaci dell'Islam?


2. Islam significa etimologicamente « sottomissione >> e in special modo sottomissione a Dio e a quella rivelazione che egli ha fatto di sé. Noi intenderemo qui per Islam l'insieme di tutte le credenze e pratiche che si richiamano a Maometto e al Corano, ben consci della complessità di un simile macrocosmo e delle sue molteplici ramificazioni nei secoli. In generale possiamo dire che i « pilastri » dell'Islam, accettati da tutti i musulrnani, sono: il riconoscere un solo Dio creatore, misericordioso e giudice universale, e Maometto come suo profeta definitivo; la preghiera cinque volte al giorno; il digiuno del Ramadan; l'imposta per i poveri; il pellegrinaggio alla Mecca una volta in vita; il gihàd interiore, cioè lo sforzo e il combattimento per Dio da intendersi anzitutto nella mobilitazione contro le proprie passioni per una vita giusta e la lotta contro l'oppressione e l'ingiustizia; l'impegno a conformarsi nel privato e nel pubblico a quel modo di vivere chiamato slznri'a, basato sul Corano, seguendo il quale è possibile fare la volontà di Dio in ogni aspetto della vita, religioso, personale, familiare, economico, politico.
Di qui si vede come l'Islam è una religione in cui l'aspetto sociale e civile ha una fondamentale importanza.
Anche se i musulmani nel mondo sono oggi diversi per origine etnica e correnti religiose interne e sono cittadini di diversi Stati indipendenti, rimane però vero che la fede musulmana è di per se stessa un universalismo che oltrepassa le frontiere e rimane sensibile a grandi appeili al ritorno alle origini, così come avviene oggi nei movimenti fondamentalisti.
(1) Cfr. il documento del Segretariato per i non cristiani, oggi Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, del 1984 dal titolo L'atteggiarnento della Chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni, in particolare ai nn. 20-31 dove si espongono le ragioni del dialogo: « La Chiesa si sente impegnata al dialogo soprattutto a motivo della sua fede » (n. 22).

Se non è facile parlare di Islam in generale, in conseguenza della storia molto complessa e ricca di questa religione, più facile ancora è definire il fenomeno dell'Islam tra noi, dell'lslam in Europa. Troppo recente infatti è il suo nuovo tipo di presenza nell'Europa occidentale ed è difficile persino stabilirne le misure quantitative.
I musulmani nella grande Europa sono circa 23 milioni. Il Paese che ne ha la più alta percentuale è senza dubbio l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Seguono la Francia con 2 milioni e mezzo, la Germania ex Federale con 1milione e 700mila, l'Inghilterra con 1milione. Per l'Italia si parla di cifre, tra regolari e clandestini, che vanno da 180.000 a 300.000 unità, ma probabilmente il numero è oggi più alto. Paesi molto più piccoli di noi rilevano una presenza proporzionalmente assai più elevata, come l'Olanda che ne ha 300.000 o il Belgio che ne ha 250.000.
La presenza tra noi non è quindi numericamente molto rilevante, ma si è fatta vistosa negli ultimi anni anche perché il loro arrivo in Italia ha coinciso con una ripresa delle correnti più integraliste.
È forse la percezione di questo aspetto che sta creando tra noi un certo disagio e malessere suscitando alcune delle domande alle quali tenterò di rispondere.
In quanto comunità cristiana, quali sono i principi a cui ci richiamiamo in questa materia? Possiamo rifarci per brevità a due tipi di testi. Anzitutto a quelli del Concilio Vaticano II, che ha parlato dei musulrnani soprattutto in due luoghi. Al n. 16 della Lumen gentium si dice che « il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in particolare i musulmani, i quali, professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nell'ultimo giorno ».
Nel decreto Nostra aetate sulla relazione della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane si dice in generale che « la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni » e « considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che [...l non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini » (n. 2). In particolare afferma di guardare con stima ai musulmani che « cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come a Dio si sottomise anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce (n. 3). E a proposito dei « dissensi e inimicizie [che] sono sorti nel corso dei secoli tra cristiani e musulmani » il Concilio « esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare sinceramente la mutua comprensione nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà » (n. 3).
Il Concilio ha avuto dunque cura di richiamare elementi comuni a cristiani e musulmani. Per questo è anche significativo che esso abbia omesso altri temi importanti per l'Islam. Non vengono menzionati dai testi conciliari né Maometto, né il Corano, né l'Islam inteso come essenziale nesso comunitario tra i credenti, né il pellegrinaggio alla Mecca, né la shari'a. Viene menzionata la comune ascendenza abramitica, ma non Gesù che nell'Islam è presente e però è assai lontano da come lo vede il cristianesimo. Per i mu- sulmani Gesù, il figlio di Maria Vergine (e la figura di Maria è venerata presso i musulmani), non è né profeta definitivo, né il Figlio di Dio e neppure è morto realmente sulla croce. Manca così la dimensione vera e propria della redenzione.
Ai testi conciliari che già indicano, malgrado le omissioni sopra notate, con quale rispetto, con quale apertura di spirito e prontezza di dialogo deve procedere un cristiano nel riflettere sull'Islam, possiamo ancora aggiungere un testo di Giovanni Paolo II che potrà fugare anche i dubbi di quanti temono che mediante la frequentazione e il dialogo con l'Islam venga meno la chiarezza della fede cattolica. Dice Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica Redemptor hominis al n. 11: « Il Concilio ecumenico [Vaticano II]ha dato un impulso fondamentale per formare l'autocoscienza della Chiesa, offrendoci, in modo tanto adeguato e competente, la visione dell'orbe terrestre come'di una "mappa" di varie religioni ». Il Concilio « è pieno di profonda stima per i grandi valori spirituali, anzi, per il primato di ciò che è spirituale e trova nella vita dell'umanità la sua espressione nella religione, e, inoltre, nella moralità, con diretti riflessi su tutta la cultura. [...] Per I'apertura fatta dal Concilio Vaticano II, la Chiesa e tutti i cristiani hanno potuto raggiungere una coscienza più compIeta del mistero di Cristo, "mistero nascosto da secoli" in Dio, per essere rivelato nel tempo, nell'uomo Gesù Cristo, e per rivelarsi continuamente, in ogni tempo ».
Giovanni Paolo II non vede dunque opposizione, anzi convergenza, tra l'attenzione al dialogo interreligioso e l'accresciuta coscienza della propria fede. È con questo spirito e con questa fiducia che cerchiamo di rispondere alle domande che ci siamo posti ail'inizio.
1. I valori storici dell'lslam.
Che cosa pensare dell'lslam in quanto cristiani? Che cosa significa esso per un cristiano dal punto di vista della storia della salvezza e dell'adempimento del disegno divino nel mondo? Perhé Dio ha permesso che l'Islam, unica tra le grandi religioni storiche, sorgesse sei secoli dopo l'evento cristiano, tanto che alcuni tra i primi testimoni lo ritennero un'eresia cristiana, un ramo staccato dall'unico e identico albero? Che senso può avere nel piano divino il sorgere di una religione in certo modo così vicina al cristianesimo come mai nessun'altra religione storica e insieme così combattiva, così capace di conquista, tanto che alcuni temono che essa possa, con la forza della sua testimonianza, fare molti proseliti in una Europa infiacchita e senza valori?

A questa domanda così complessa non è facile dare una risposta semplice, che tuttavia è in parte anticipata da quanto abbiamo riferito del Vaticano II. Si tratta di una fede che avendo grandi valori religiosi e morali ha certamente aiutato centinaia di milioni di uomini a rendere a Dio un culto onesto e sincero e insieme a praticare la giustizia. Quello della giustizia è infatti uno dei valori più fortemente affermati dall'Islam. « O voi che credete, dice il Corano nella Sura quarta -, praticate la giustizia con costanza, in testimonianza di fedeltà a Dio, anche a scapito vostro, o di vostro padre, o di vostra madre, o dei vostri parenti, sia che si tratti di un ricco o di un povero perché Dio ha priorità su ambedue >> (Sura 4,135).
In un mondo occidentale che perde il senso dei valori assoluti e non riesce più in particolare ad agganciarli a un Dio Signore di tutto, la testimonianza del primato di Dio su ogni cosa e della sua esigenza di giustizia ci fa comprendere i valori storici che l'Islam ha portato con sé e che ancora può testimoniare nella nostra società.
2. L'lslam in Europa.
Una seconda domanda: ci sarà una secolarizzazione per l'Islam in Europa?
La domanda è legittima se si pensa al difficile percorso del cristianesimo nell'alveo della modernità negli ultimi tre secoli. Lo scontro tra pensiero moderno razionale, scientifico e tecnico, tendente all'analisi e alla distinzione dei ruoli e delle competenze, e la tradizione cristiana uscita dal mondo unitario medioevale, ha segnato un cammino faticoso di cui solo il Concilio Vaticano II ha potuto consacrare alcuni risultati armonicamente raggiunti, pur se non ancora del tutto recepiti. Va emergendo però sempre più chiaramente che la fede in un Dio fatto uomo ed entrato nelle vicende umane è una forza che permette di cogliere anche nel divenire economico, sociale e culturale i segni della presenza di Dio e quindi il senso positivo di un cammino di fede nell'ambito della modernità.
Non è pensabile che l'Islam in Europa non si trovi prima o poi ad affrontare una simile sfida. Sappiamo anzi che dalla fine della prima guerra mondiale fino ad oggi vi sono state molte proposte, tendenze, partiti, soluzioni secondo le quali il mondo musulmano, nelle sue diverse ramificazioni, etnie e territori, ha preso coscienza dell'avvento dell'era della tecnica e delle esigenze di razionalità che essa comporta. Bisogna dire però che fino ad ora la fede nei grandi pilastri dell'Islam non sembra aver avvertito in maniera preoccupante la scossa derivante dai principi della modernità. Prevalgono in questo momento le tendenze fondamentaliste, che cercano di appropriarsi dei risultati tecnici, ma staccandoli dalle loro premesse culturali occidentali con la volontà di risolvere, nella linea della tradizione antica, tutti i problemi politici o sociali per mezzo della religione. Non si ammette quindi separazione tra religione e Stato, tra religione e politica, e nell'interpretazione letterale del Corano vengono cercati tutti i principi per la risposta agli interrogativi contemporanei, anche sociali ed economici.
È difficile prevedere che cosa potrà avvenire in un futuro più remoto e non è il caso di indulgere a ipotesi azzardate. Sembra corretto, nel quadro di quell'atteggiamento di rispetto che prima abbiamo richiamato, auspicare e aiutare affinché il trapasso necessario ad una assunzione non puramente materiale delle agevolazioni tecniche che vengono dall'occidente sia accom- pagnato da uno sforzo serio di riflessione storico-critica sulle proprie fonti religiose e teologiche cercando quell'armonia tra la visione filosofica del mondo e la legge rivelata » (2), che era già presente in alcuni dei filosofi arabi conosciuti e utilizzati da S. Tommaso. Dobbiamo adoperarci affinché i musulmani riescano a chiarire e a cogliere il significato e il valore della distinzione tra religione e società, fede e civiltà, Islam politico e fede musulmana, mostrando che si possono vivere le esigenze di una religiosità personale e comunitaria in una società democratica e laica dove il pluralismo religioso viene rispettato e dove si stabilisce un clima di mutuo rispetto, di accoglienza e di dialogo (3).
3. L'atteggiamento della Chiesa e il dialogo.
Alla luce di quanto fin qui detto, quale dialogo è possibile oggi e quale deve essere l'atteggiamento della nostra Chiesa a questo proposito?
Mi pare opportuna una distinzione tra dialogo interreligioso in generale e dialogo tra singoli credenti.
Il primo è quello che si svolge a livelli più ufficiali, tra rappresentanti religiosi di ambo le parti. Esso ha le sue regole indicate nel Vaticano II e poi in documenti come le norme edite dal Segretariato per il dialogo interreligioso (4). Da noi a Miiano esiste la Commissione diocesana per I'ecumenismo e il dialogo; in questo senso lavora anche la Segreteria per gli Esteri ed è stato creato recentemente un Centro ambrosiano di documentazione per le religioni, con attenzione speciale per il mondo musulmano. Sono pure da menzionare le presenze di istituti missionari come il PIME che hanno ormai una lunga tradizione di conoscenza e di dialogo con queste realtà. Tale dialogo è riservato piuttosto ai competenti.
Vorrei spendere una parola per quel dialogo che si svolge a livello quotidiano a contatto con i musulmani che incontriamo oggi sempre più frequentemente. Va tenuto presente il fatto che non sempre la singola persona incarna e rappresenta tutte le caratteristiche che astrattamente designano un credente di quella religione. Come avviene per i cristiani, così anche tra i musulmani non tutti aderiscono in pratica e con piena coscienza ai precetti e alle dottrine prescritte e ciò probabilmente anche a causa dello scarso retroterra culturale di molti immigrati di recente. Il problema non è tanto di fare grandi discussioni teologiche, ma anzitutto di cercare di capire quali sono i valori che realmente una persona incarna nel suo vissuto per considerarli con attenzione e rispetto. Si potranno trovare, non di rado, molte più consonanze pratiche di quanto non avvenga in una disputa teologica. Ciò vale soprattutto per i valori vissuti della giustizia e della solidarietà. Tuttavia questa considerazione individuale deve sempre tener conto delle dinamiche di gruppo. Infatti I'Islam non è solo fede personale, bensì realtà comunitaria molto compatta e una parola d'ordine lanciata da qualche voce autorevole al momento opportuno può ricompattare e ricondurre a unità serrata anche i soggettivismi o i sincretismi religiosi vissuti da un singolo individuo.
Per quanto riguarda più in generale l'atteggiamento della nostra Chiesa e le attitudini che si raccomandano a tutti i nostri cristiani, vorrei richiamare brevemente l'attenzione su alcuni punti che derivano dai principi sopra esposti.
1. Occorre accogliere motivando cristianamente il perché della nostra accoglienza, dicendolo in una lingua « comprensibile », che è più spesso quella dei fatti e della carità, dando ai musulmani il senso dello spessore religioso che pervade la nostra accoglienza.
2. Occorre ricercare insieme un obbiettivo comune di tolleranza e mutua accettazione. Non mancano per questo i testi anche nel Corano. Dobbiamo sfatare a poco a poco il pregiudizio in essi radicato che i non musulmani sono di fatto non credenti. Solo quando ci riconosceremo nel comune solco della fede di Abramo potremo parlarci con più distensione superando i pregiudizi.
3. Dobbiamo far cogliere loro che anche noi cristiani siamo critici verso il consumismo europeo, l'indifferentismo e il degrado morale che c'è tra noi, far vedere che prendiamo le distanze da tutto ciò. Data la loro abitudine a vedere legate religione e società e anche in forza delle esperienze storiche delle crociate, essi tendono a identificare l'occidente col cristianesimo e a comprendere sotto una sola condanna i vizi dell'occidente e le colpe dei cristilni. Bisogna far comprendere che siamo solidali con loro nella proclamazione di un Dio Signore dell'universo, nella condanna del male e nella promozione della giustizia.
4. Il dialogo con i musulmani sarà in particolare per noi un'occasione per riflettere sulla loro forte esperienza religiosa che tutto finalizza alla riconsegna a Dio di un mondo a Lui sottomesso. In questo, il nostro giusto senso della laicità dovrà guardarsi dall'essere vissuto come una separazione o addirittura opposizione tra il cammino dell'uomo e quello del cristiano.
Vi sarebbe da dire una parola più specifica per le nostre comunità e in particolare per i presbiteri che le presiedono. Vi sono due posizioni errate da evitare e una posizione corretta da promuovere.
Prima posizione errata: la noncuranza del fenomeno. ll limitarsi a pensare alI'Islam come a una costellazione remota che ci sfiora soltanto di passaggio o che ci tocca per i problemi di assistenza, ma che non avrà impatto culturale e religioso nelle nostre comunità. Da tale posizione si scivola facilmente a sentimenti di disagio e quasi di rifiuto o di intolleranza.
Seconda posizione errata: lo zelo disinformato. Si fa di ogni erba un fascio, si propugna l'uguaglianza di tutte le fedi senza rispettarle nella loro specificità, si offrono indiscriminatamente spazi di preghiera o addirittura luoghi di culto senza aver prima ponderato che cosa sigmfichi questo per un corretto rapporto interreligioso. Al riguardo saranno necessarie norme precise e rigorose, anche per evitare di essere fraintesi.
La posizione corretta è lo sforzo serio di conoscenza, la ricerca di strumenti e l'interrogazione di persone competenti. Penso, in particolare, ai casi molto difficili e spesso fallimentari dei matrimoni misti. Esistono ormai nell'ambito della Diocesi persone di riferimento, corsi e specialisti che sono a disposizione. Un supplemento di cultura e di conoscenza in questo campo sarà necessario in avvenire in particolare per i preti.
Come è chiaro da quanto abbiamo detto, pensiamo fermamente che il tempo delle lotte di conquista da una parte e delle crociate dall'altra debba considerarsi come finito. Noi auspichiamo rapporti di uguaglianza e fraternità e insistiamo e insisteremo perché a tali rapporti si conformi anche il costume e il diritto vigente nei Paesi musulmani riguardo ai cristiani, perché si abbia una giusta reciprocità. Conosciamo i problemi giuridici e teologici che i nostri fratelli dell'Islam hanno nei loro Paesi per riconoscere alle comunità cristiane minoritarie i diritti che da noi sono riconosciuti alle minoranze, ma non possiamo pensare che tali problemi non possano essere risolti affidandosi a quella conduzione divina della storia che è vanto dell'Islam aver sempre accettato in mezzo a tante dolorose vicissitudini.
Il nostro atteggiamento vuole in ogni caso ispirarsi a quello di san Francesco d'Assisi che scriveva nella sua Regola, al cap. xv Di coloro che vanno tra i saraceni e altri infedeli: « I frati che [..I vorranno andare tra i saraceni e altri infedeli, vadano col permesso del loro ministro e servo. [Essi] possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti e dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L'altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio [...l. E tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che hanno consegnato e abbandonato il loro corpo al Signore nostro Gesù Cristo e che per suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili » .
Nessuna contesa dunque, nessun uso della forza, esposizione sincera e a tempo opportuno di ciò che credono, accettazione anche di disagi e sofferenze per amore di Cristo.


4. Annunciare il Vangelo di Gesù.
Una quarta e ultima domanda: può la Chiesa rinunciare ad annunciare il Vangelo ai musulmani?
Occorre fare anzitutto una distinzione. Altro è infatti l'annuncio, altro è il dialogo.
Il dialogo parte dai punti comuni, si sforza di allargarli cercando ulteriori consonanze, tende all'azione comune nei campi in cui è possibile subito una collaborazione, come sui temi della pace, della solidarietà e della giustizia.
L'annuncio è la proposta semplice e disarmata di ciò che appare più caro ai propri occhi, di ciò che non si può imporre né barattare con alcunché, di ciò che costituisce il tesoro a cui si vorrebbe che tutti attingessero per la loro gioia. Per il cristiano il tesoro più caro è la croce, è il mistero di un Dio che si dona nel suo Figlio fino ad assumere su di sé il nostro male e quello del mondo perché noi ne usciamo fuori. Non sempre questo annuncio può essere fatto in modo esplicito, soprattutto nelle società chiuse e intolleranti. È un caso oggi non infrequente in alcuni Paesi. Ma pure nei Paesi cosiddetti liberi ci si scontra talora con chiusure mentali così forti da costituire quasi una barriera. Allora la proposta assume la forma della testimonianza quotidiana, semplice e spontanea, e quella della carità e anche del dono della vita, fino al martirio. E' il principio sopra ricordato di S. Francesco.
Con questa distinzione riprendiamo dunque la nostra ultima domanda: può la Chiesa cattolica rinunciare a proporre il Vangelo a chi ancora non lo possiede?
Certamente no, come ai musulmani non viene chiesto di rinunciare al loro desiderio di allargare la 'umma,la comunità dei credenti. Ciò che conterà sarà lo stile, il modo, cioè quelle caratteristiche di rispetto e di amore, quello stile di attenzione e di desiderio di comunicare la gioia nella pace che è proprio di chi accetta le Beatitudini. Questo stile non è senza riscontri anche nel mondo dell'Islam. Si legge infatti nel Corano: Chiama gli uomini alla Via del Signore, con ammonimenti saggi e buoni, e discuti con loro nel modo migliore. ..., e sappi che il tuo pazientare è solo possibile in Dio [...l perché Dio è con coloro che lo temono, con coloro che fanno deI bene » (Sura 16,125-128). Raggiungeremo così tutti anche quell'atteggiamento missionario che ha caratterizzato il ministero di Ambrogio in mezzo ai pagani del suo tempo.

Ultima modifica il Lunedì, 23 Novembre 2015 21:12
Devi effettuare il login per inviare commenti