Venerdì, 06 Novembre 2015 20:22

Che tristezza vedere preti e vescovi attaccati ai soldi...

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Nella omelia mattutina del 6 novembre 2015, il Papa indica due figure: chi serve la Chiesa; chi invece se ne serve. Ed esorta a non cadere nella tentazione di "una doppia vita"

Ci sono «sacerdoti e vescovi arrampicatori e attaccati ai soldi» che «invece di servire si servono della Chiesa», rendendola «affarista» e «tiepida» con il loro vivere comodamente il proprio status senza onestà. Da questa «tentazione di una doppia vita» il Papa ha messo in guardia nella messa di venerdì mattina, 6 novembre, nella cappella della Casa Santa Marta. Una celebrazione mattutina, ha confidato, a cui spesso partecipano missionari e suore che donano tutta la vita al servizio degli altri, rifacendosi al modello di san Paolo e andando «sempre oltre, sempre in uscita».

 

«La liturgia di oggi — ha affermato subito Francesco — ci fa riflettere su due figure, due figure di servi, di impiegati, due persone che sono chiamate a fare un compito». Nel passo della lettera ai romani (15, 14-21), emerge «la figura di Paolo: proprio lo zelo per evangelizzare». Scrive infatti l’apostolo: «Voi sapete, a motivo della grazia che mi è stata data da Dio — qual era la grazia che lui ha ricevuto? — per essere ministro di Cristo Gesù, adempiendo il sacro ministero». Cioè «ministrare, servire». E «Paolo ha preso sul serio questa vocazione e si è donato tutto al servizio, sempre oltre, non stava mai fermo: sempre oltre, oltre, oltre... per finire, dopo, qui a Roma, tradito da alcuni dei suoi. E finì come un condannato, proprio».

Ma «da dove veniva quella grandezza, quella audacia di Paolo?». Egli stesso dichiara: «e io mi vanto di questo». E «di che si vantava? Si vantava di Gesù Cristo». Si legge infatti nel passo liturgico della sua lettera ai Romani: «Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle cose che riguardano Dio. Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all’obbedienza, con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito».

Con questo atteggiamento, ha proseguito il Pontefice, san Paolo «è andato ovunque: lui si vantava di servire, di essere eletto, di avere la forza dello Spirito Santo, di andare in tutto il mondo». Ma «c’era qualcosa che per lui era una gioia grande». Ne parla così: «Ma mi sono fatto un punto di onore — un punto di onore: qual era? — di non annunciare il Vangelo dove era già conosciuto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui». Insomma, «Paolo andava dove non era conosciuto il nome di Cristo; era il servo che serviva, amministrava, gettando le basi, cioè annunciando Gesù Cristo sempre oltre, sempre in uscita, sempre più lontano; mai si fermava per avere il vantaggio di un posto, di una autorità, di essere servito». Paolo «era ministro, servo per servire, non per servirsi».

Francesco ha confidato la gioia che prova fino a commuoversi quando, proprio alla messa celebrata al mattino nella cappella della Casa Santa Marta, «vengono alcuni preti e mi salutano» dicendo: «Padre, sono venuto qui a trovare i miei, perché da quarant’anni sono missionario in Amazzonia». Gioia e commozione suscita anche la testimonianza di una suora che lavora «da trent’anni in ospedale in Africa» oppure «che da trenta o quarant’anni è nel reparto dell’ospedale con i disabili, sempre sorridente». Ecco, ha affermato Francesco, «questo si chiama servire, questa è la gioia della Chiesa: andare oltre, sempre; andare oltre e dare la vita». E proprio «questo è quello che ha fatto Paolo: servire».

Riprendendo poi il passo evangelico di Luca (16, 1-8) che parla dell’amministratore disonesto, proposto dalla liturgia, il Papa ha fatto notare che «il Signore ci fa vedere l’immagine di un altro servo che, invece di servire gli altri, si serve degli altri». Nel Vangelo «abbiamo letto cosa ha fatto questo servo, con quanta scaltrezza si è mosso per rimanere al suo posto, da un’altra parte, ma sempre con una certa dignità». E «anche nella Chiesa — ha detto il Papa — ci sono questi che, invece di servire, di pensare agli altri, di gettare le basi, si servono della Chiesa: gli arrampicatori, gli attaccati ai soldi. E quanti sacerdoti, vescovi abbiamo visto così. È triste dirlo, no?».

«La radicalità del Vangelo, della chiamata di Gesù Cristo» — ha ricordato il Pontefice — sta nel «servire: essere al servizio, non fermarsi, andare oltre sempre, dimenticandosi di se stessi». Dall’altra parte, invece, c’è «la comodità dello status: io ho raggiunto uno status e vivo comodamente senza onestà, come quei farisei dei quali parla Gesù che passeggiavano nelle piazze, facendosi vedere dagli altri». E queste sono «due immagini: due immagini di cristiani, due immagini di preti, due immagini di suore. Due immagini».

In san Paolo, ha spiegato il Papa, «Gesù ci fa vedere» il «modello» di una «Chiesa che non sta mai ferma, che sempre fa fondamento, che sempre va avanti e ci fa vedere che quella è la strada». Invece «quando la Chiesa è tiepida, chiusa in se stessa, anche affarista tante volte, non si può dire, che sia una Chiesa che ministra, che sia al servizio, bensì che si serve degli altri».

Francesco ha concluso chiedendo al Signore «la grazia che ha dato a Paolo, quel punto d’onore di andare sempre avanti, sempre, rinunciando alle proprie comodità tante volte». Così «ci salvi dalle tentazioni, da queste tentazioni che in fondo sono tentazioni di una doppia vita: mi faccio vedere come ministro, come quello che serve, ma in fondo mi servo degli altri».

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